I dieci milioni che noi vorremmo far tornare (a votare)

Di fron­te al risul­ta­to del refe­ren­dum del 4 dicem­bre, nel­le pri­me ore suc­ces­si­ve al voto, la mag­gior par­te degli atto­ri poli­ti­ci in cam­po si è det­ta sor­pre­sa dal risul­ta­to, chi per l’esito, chi per l’ampia mag­gio­ran­za con cui que­sto esi­to veni­va sancito.

Una sor­pre­sa che dovreb­be por­ta­re con sé un po’ di umil­tà e di aper­tu­ra, ma come era pre­ve­di­bi­le, pas­sa­ta la not­te, cia­scu­no si è rin­chiu­so nel­la let­tu­ra che meglio si con­fà allo sche­ma che già ave­va in mente.

La let­tu­ra pre­va­len­te nei media e nel ceto poli­ti­co sem­bra esse­re: 19 milio­ni di voti lega­ti al popu­li­smo e alle destre, 13 milio­ni di voti lega­ti a Ren­zi e al suo impian­to di gover­no.

Ma, anco­ra una vol­ta, la real­tà sem­bre­reb­be desti­na­ta a sor­pren­de­re chi si con­so­la con quei numeri.

Secon­do le ana­li­si di Tec­nè, infat­ti, ben 4 milio­ni di elet­tri­ci ed elet­to­ri che han­no scel­to il sì non si rico­no­sco­no nel PD o in uno degli altri par­ti­ti (?) che han­no soste­nu­to il sì (che quin­di, anche som­man­do­li tra loro, sono ben distan­ti dal 40% che mil­lan­ta­no). E secon­do quel­le di Quo­rum, ben 1 su 6 tra quan­ti han­no vota­to sì dichia­ra di ave­re poca o nes­su­na fidu­cia in Renzi.

E allo stes­so modo è ben dif­fi­ci­le imma­gi­na­re che il voto dell’80% degli ita­lia­ni tra i 18 e i 35 anni sia tut­to da ascri­ver­si al popu­li­smo e alla destra. Un segna­le con­fer­ma­to anche da una sem­pli­ce ana­li­si dei flus­si elet­to­ra­li: a meno di non voler cre­de­re che la destra il M5S abbia­no gua­da­gna­to 5 o 6 milio­ni di voti rispet­to alle ulti­me ele­zio­ni, qual­co­sa non tor­na.

E rischia di non tor­na­re nean­che a vota­re, que­sto qual­co­sa. Stia­mo par­lan­do di qua­si una deci­na di milio­ni di per­so­ne che non si sen­to­no rap­pre­sen­ta­te dal pano­ra­ma poli­ti­co in cam­po. E quin­di nel­la sua offer­ta. Per­so­ne che han­no scel­to di recar­si alle urne per­ché sen­ti­va­no che in que­sto caso avreb­be­ro potu­to far sen­ti­re la loro voce, che il loro voto sareb­be ine­vi­ta­bil­men­te con­ta­to, stavolta.

La poli­ti­ca dovreb­be lavo­ra­re per rida­re una casa e una cit­ta­di­nan­za, a que­ste per­so­ne. Dovreb­be ascol­tar­ne la voce e cer­ca­re di com­pren­der­ne il mes­sag­gio, che non è ovvia­men­te det­to sia univoco.

Ma la rispo­sta che deve usci­re dal­la poli­ti­ca, e in fret­ta, deve esse­re una che ridia spa­zio di par­te­ci­pa­zio­ne a chi ad oggi sen­te di non aver­ne. Deve esse­re una che dia rispo­ste a chi si sen­te taglia­to fuo­ri, emar­gi­na­to, ignorato.

Chi, di fron­te a tut­to que­sto, sce­glie anco­ra una vol­ta di avvi­tar­si in discus­sio­ni di palaz­zo sul­le alchi­mie elet­to­ra­li, o in astrat­ti pro­get­ti di cam­pi da crea­re o rico­strui­re, dimo­stra di non aver capi­to, di non voler capi­re, di non ave­re che una sto­ria man­da­ta a memo­ria e di non saper fare altro che con­ti­nua­re a rac­con­tar­la, anche quan­do appa­re evi­den­te che sem­pre meno ita­lia­ni sono inte­res­sa­ti a sentirla.

E’ ora che la poli­ti­ca tor­ni a par­la­re con que­sti 10 milio­ni di per­so­ne, che si con­fron­ti con loro, per scri­ve­re assie­me una sto­ria diver­sa.

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