Iniziano a circolare in queste ore le bozze della Legge di Bilancio 2026 approvata dal Consiglio dei Ministri venerdì scorso, la prima manovra che si confronta con la modifica delle regole di bilancio europee del 2024 e che quindi dovrebbe abbracciare un periodo temporale pari almeno al triennio, ossia sino al 2028. Ma per il governo Meloni, che sinora ha tirato a campare approvando riforme nel migliore dei casi ininfluenti rispetto al ciclo economico, questo compito è di per sé insormontabile. E così il dicastero di Giorgetti ha prodotto l’ennesima legge priva di Politica, un coacervo di misure una tantum, di aggiustamenti di tiro, di bonus e di finte riforme utili più che altro agli amichetti di partito in campagna elettorale. Nulla di più. Per una paese che avanza con il freno tirato, questo approccio conservativo, persino rigorista – se teniamo presente i risultati differenziali del Bilancio dello Stato proposti con il Documento programmatico di finanza pubblica 2025, approvato dal Parlamento il 9 ottobre – rischia di essere ulteriormente regressivo. Mentre il PNRR è sostanzialmente lasciato scivolare sul suo binario, svuotato delle misure (già poche in origine) che avrebbero potuto ammodernare la nostra società, ormai prossimo alla data fatidica del 2026, anno di restituzione dei fondi non impiegati, i margini di manovra sulla spesa pubblica sono ridotti a “spigolature dei bordi”.
Pensiamo alla nuova – ennesima – riforma IRPEF: il taglio di due punti percentuali (dal 35 al 33 per cento) nello scaglione da 28.000 euro e fino a 50.000 euro verrà eroso dal meccanismo del fiscal drag (stando ai dati divulgati dal Centro Studi CGIL), mentre nessuna misura è prevista per i redditi più bassi (nonostante Meloni abbia sostenuto l’esatto contrario). L’aumento dell’aliquota IRAP di due punti percentuali a carico «degli enti creditizi e le imprese di assicurazione» potrebbe essere in parte neutralizzato dall’esclusione parziale dei dividendi dalla base imponibile IRAP (stando alla bozza della manovra, i dividendi provenienti da società o enti residenti o localizzati in uno Stato membro dell’UE, non concorrono a formare il margine di intermediazione – per banche/finanziarie – o la base imponibile – per le altre società – della società ricevente per il 95 per cento del loro ammontare). La riforma dell’ADI (assegno di inclusione), che consiste nella rimozione di quell’odioso mese di attesa tra scadenza e richiesta di rinnovo, prevede un incremento di spesa che è compensato dalla riduzione del Fondo per il Sostegno alla Povertà e per l’Inclusione Attiva (Art. 1, comma 321, Legge n. 197/2022) di 1,2 miliardi tra il 2026 e il 2029. In materia previdenziale, poi, da un lato si mantengono in essere le misure preesistenti (Ape Sociale, Pensione Anticipata), dall’altro – e nonostante le bellicose intenzioni della Lega espresse in tempo di elezioni – viene ammesso che l’incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico dovuto alla variazione della speranza di vita, già stabilito per il 1° gennaio 2027, sia «applicato limitatamente a tale anno nella misura di un mese». Il maggiore incremento già stabilito dal decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze è differito al 1° gennaio 2028. Insomma, ci penserà il prossimo governo.
L’impressione, poi, è quella che ci sia una modesta urgenza di fare cassa, anche mettendo a pregiudizio i capisaldi sinora intoccabili. La flat tax dei Paperoni (approvata nel 2017 dal governo Renzi…), o per meglio dire l’imposta forfettaria per il contribuente che trasferisce la propria residenza in Italia, viene aumentata da 200.000 euro a 300.000 euro e l’imposta sostitutiva dei familiari passa da 25 a 50 mila euro. In tema di affitti brevi, la cedolare secca è aumentata dal 21 al 26 per cento per le seconde case date in locazione per periodi brevi, ma nel testo della proposta di legge si precisa che, se non viene esercitata l’opzione della cedolare secca, la ritenuta è considerata operata «a titolo di acconto». Sono bastate poche ore dalla messa in circolazione del testo che questa norma è balzata agli occhi degli esponenti dei partiti di maggioranza. Statene certi, non passerà mai il vaglio del Parlamento.
E la spesa per armamenti? Non aspettatevi norme specifiche nella manovra, resterete delusi. Al netto di qualche stanziamento dedicato soprattutto al rafforzamento del personale dei Carabinieri nelle missioni e nelle sedi estere e all’incremento della dotazione delle Forze di Polizia Penitenziaria (pari a 2000 unità), è invece previsto l’adeguamento dell’età pensionabile del personale militare delle Forze armate (inclusa l’Arma dei carabinieri), del Corpo della Guardia di Finanza e delle Forze di Polizia (che aumenta di tre mesi con decorrenza dal 1° gennaio 2027) e una “Revisione Generale della Spesa” (non ancora quantificata), che tuttavia prevede la riduzione delle dotazioni di competenza e di cassa relative alle missioni e ai programmi di spesa di tutti i Ministeri (incluse le Amministrazioni centrali dello Stato) per gli anni 2026, 2027 e 2028. Staremo a vedere come questa misura verrà mediata con gli accordi politici presi dal governo in sede europea e NATO sull’incremento della spesa per armamenti.
Il governo punta poi a ottenere dei risparmi di spesa dalle Scuole Secondarie (I e II grado) “razionalizzando” le sostituzioni dei docenti su “posto comune” con personale dell’organico dell’autonomia, salvo motivate esigenze di natura didattica. Stesso discorso vale per i posti di Sostegno della Scuola Primaria: le sostituzioni per supplenze temporanee fino a dieci giorni devono essere effettuate utilizzando personale dell’organico dell’autonomia. Attenti, perché il Ministero dell’istruzione e del merito effettuerà un monitoraggio quadrimestrale delle assenze del personale docente e ATA, indicando le modalità di sostituzione e di spesa per le supplenze brevi. I risparmi così ottenuti (quanti?) andrebbero a rafforzare l’offerta formativa. Mah. L’Università, poi, si deve accontentare dell’incremento di 250 milioni di euro della dotazione del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (di cui al D.Lgs. 68/2012).
Dulcis in fundo, non poteva mancare un bonus agli studenti che abbiano conseguito il diploma finale entro l’anno di compimento del diciannovesimo anno di età. Una bella “Carta Valore” utilizzabile per l’acquisto di biglietti per eventi culturali, libri, abbonamenti, musica, strumenti musicali e per sostenere i costi di corsi di musica, teatro, danza o lingua straniera (180 milioni di euro la spesa prevista). Ma attenti al giochino: la “Carta della cultura Giovani” e la “Carta del merito” cessano di applicarsi dal 1° gennaio 2027.
Articolo pubblicato anche su www.ossigeno.net