1963: “Ich bin ein Berliner”. 2014: “Io sono europeo”.

La sto­ria non è fini­ta. Ven­ti­cin­que anni dopo la cadu­ta del muro di Ber­li­no, l’ar­di­ta pro­fe­zia di Fran­cis Fukuya­ma si con­fer­ma poco piu’ di una bou­ta­de, di un buon tito­lo per un libro for­tu­na­to.” dice Ste­fa­no Pol­li in un pez­zo per l’AN­SA di oggi. La fine del­la sto­ria non c’è sta­ta, no. Quel­l’e­ven­to ha piut­to­sto gene­ra­to una serie di acce­le­ra­zio­ni nel­la sto­ria rima­sta bloc­ca­ta per trop­po tem­po duran­te la guer­ra fred­da e ha cam­bia­to la geo­gra­fia del con­ti­nen­te.

Il crol­lo del muro, atte­so per 28 anni, non fu total­men­te ina­spet­ta­to ma pre­se tut­ti di sor­pre­sa, anche i ber­li­ne­si che era­no qua­si ras­se­gna­ti dal­la sua pre­sen­za e non sono riu­sci­ti subi­to a capi­re se si trat­tas­se del­la fine di un’e­ra o sola­men­te di una paren­te­si tem­po­ra­nea. Cer­to si trat­ta­va di un regi­me e di un siste­ma al col­las­so che non era più in gra­do di gover­na­re gli even­ti, a cau­sa degli “erro­ri” di Michail Gor­bačëv che pen­sa­va di far evol­ve­re il gigan­te sovie­ti­co e che inve­ce ne cau­sò il col­las­so che avver­rà due anni più tar­di.

Quel 9 novem­bre era per­ce­pi­bi­le la dif­fe­ren­za tra est ed ove­st che si scor­ge­va pas­san­do il muro: le per­so­ne era­no vesti­te diver­sa­men­te, le auto­mo­bi­li era­no diver­se, gli edi­fi­ci era­no diver­si. Eppu­re dopo 3/4 gior­ni si tro­va­va­no le Tra­bant “puz­zo­len­ti” in ogni ango­lo del­la Ger­ma­nia del­l’O­ve­st (come ci rac­con­ta Udo Gum­pel): una pla­sti­ca mate­ria­liz­za­zio­ne del­la voglia incom­pri­mi­bi­le del­la liber­tà.

La vit­to­ria del­l’oc­ci­den­te e del capi­ta­li­smo cam­biò total­men­te la pro­spet­ti­va: libe­rò una serie di for­ze rima­ste com­pres­se duran­te l’equi­li­brio del ter­ro­re (mi fa qua­si impres­sio­ne scri­ver­lo ma tut­to si reg­ge­va sul nume­ro di testa­te ato­mi­che pos­se­du­te dai due schie­ra­men­ti) e omo­ge­neiz­zò il mon­do occi­den­ta­le, com­pli­ci anche le nuo­ve tec­no­lo­gie del­l’in­for­ma­zio­ne che sareb­be­ro pre­sto diven­ta­te popolari.

Il risul­ta­to fu la con­qui­sta del­la demo­cra­zia e del­la liber­tà da par­te di mol­te popo­la­zio­ni in un per­cor­so non sem­pre linea­re e pri­vo di dif­fi­col­tà, uni­to alla per­di­ta di rife­ri­men­ti per un mon­do che da bipo­la­re sta­va diven­tan­do mul­ti­po­la­re ma anco­ra non era chia­ro come.

I pun­ti di rife­ri­men­to sono diven­ta­ti quin­di mol­ti con Cina, India e Bra­si­le nuo­vi pro­ta­go­ni­sti, con il Giap­po­ne peren­ne­men­te depres­so, gli USA che non rie­sco­no più ad eser­ci­ta­re il ruo­lo di super­po­ten­za e il risve­glio del­l’am­bi­zio­ne del­la Rus­sia che vuo­le tor­na­re ad esse­re “pro­ta­go­ni­sta”, come la vicen­da ucrai­na dimo­stra, men­tre il Medio Orien­te rima­ne un foco­la­io di ten­sio­ne tra guer­re civi­li e pri­ma­ve­re ara­be non anco­ra defi­ni­te. Tut­to que­sto in man­can­za di forum di discus­sio­ne rico­no­sciu­ti e fun­zio­nan­ti: col G7/G8 che ora­mai ha poco peso, col G20 che non rie­sce ad affer­mar­si e l’ONU alla peren­ne ricer­ca di una rifor­ma che supe­ri l’as­set­to cri­stal­liz­za­to alla con­clu­sio­ne del­la II guer­ra mondiale.

Nem­me­no i pro­ta­go­ni­sti del tem­po furo­no in gra­do di leg­ge­re imme­dia­ta­men­te la situa­zio­ne: Hel­mut Kohl ci mise un mese inte­ro per ela­bo­ra­re una stra­te­gia e pre­sen­ta­re il suo per­cor­so che sareb­be anda­to ver­so una riu­ni­fi­ca­zio­ne-lam­po del­la Ger­ma­nia il 3 otto­bre 1990: un even­to che 11 mesi pri­ma era sem­pli­ce­men­te inimmaginabile.

A Kohl fu però chia­ro che tut­to si dove­va svol­ge­re nel qua­dro del­l’Unio­ne euro­pea: una del­le sue fra­si più famo­se era che biso­gna­va deci­de­re se “euro­peiz­za­re la Ger­ma­nia o ger­ma­niz­za­re l’Eu­ro­pa” e la scel­ta fu chia­ra­men­te la pri­ma. I suoi suc­ces­so­ri non sono però sta­ti così lun­gi­mi­ran­ti: la Ger­ma­nia ha poi rivol­to gli occhi ver­so se stes­sa e ha pen­sa­to più alla pro­pria uni­fi­ca­zio­ne che è sta­ta sì un suc­ces­so ma ha anco­ra mol­ta stra­da da fare.

La riu­ni­fi­ca­zio­ne tede­sca ha però aper­to la stra­da all’uni­fi­ca­zio­ne euro­pea che è poi avve­nu­ta 15 anni dopo con l’ingres­so di 8 pae­si del­l’ex Pat­to di Var­sa­via e del­l’ex URSS nel­l’U­nio­ne euro­pea nel 2004–2007. Il com­pi­to del­l’u­ni­fi­ca­zio­ne del con­tien­te però non è anco­ra con­clu­so e toc­ca alla Ger­ma­nia vol­ge­re mag­gior­men­te il suo occhio ver­so l’Eu­ro­pa oggi.

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La scel­ta di chie­de­re a Daniel Baren­boim di diri­ge­re l’In­no alla gio­ia davan­ti ad una Por­ta di Bran­de­bur­go vesti­ta di azzur­ro e gial­lo nel momen­to più impor­tan­te del­le cele­bra­zio­ni di oggi, men­tre i pal­lon­ci­ni lun­go il muro han­no ini­zia­to ad alzar­si uno ad uno ad uno al cie­lo, è un evi­den­te sim­bo­lo di que­sta volon­tà che va veri­fi­ca­ta però sul cam­po di una cri­si eco­no­mi­ca da cui usci­re per­chè tut­ti han­no fat­to la pro­pria parte.

Non per nien­te oggi la can­cel­lie­ra Ange­la Mer­kel ha dichia­ra­to che “i sogni pos­so­no diven­ta­re real­tà, nien­te deve rima­ne­re com’è, anche se gli osta­co­li ci sem­bra­no insor­mon­ta­bi­li”. La sto­ria non è fini­ta come pre­ten­de­va Fukuya­ma: ecco per­chè se John Fitz­ge­rald Ken­ne­dy nel momen­to del­la cri­si per la costru­zio­ne del muro dis­se “Ich bin ein Ber­li­ner” ora in un momen­to di cri­si per l’in­te­gra­zio­ne con­ti­nen­ta­le le paro­le giu­ste sono: “Io sono euro­peo”.

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