“Ma quale sterminio. La bomba palestinese è il boom demografico. Popolazione decuplicata dalla nascita di Israele”. Così titola un articolo di Libero del 23 luglio a firma di David Zebuloni che riporta come la popolazione della città di Gaza sia passata da 64mila persone nel 1950 a più di 800mila attuali.
Un’analisi basata su documenti precisi come il Global Urbanization Outlook delle Nazioni Unite e il World Population Review, ma dati estrapolati dal contesto storico-politico e, quindi, di fatto manomessi e utilizzati in maniera impropria.
Trovo doverosa un’ulteriore premessa: i dati dell’ONU sono un prospetto di crescita, quindi un’ipotesi statistica, non tengono conto di eventi esterni come un conflitto o i crimini di guerra in corso. Andando, infatti, a controllare le risorse utilizzate per lo studio si leggono tutte informazioni e statistiche antecedenti al 2023, come ad esempio il censimento del 2017 o il rapporto sul tasso di mortalità del 2021.
Zebuloni si sofferma sui cambiamenti più significativi della popolazione e ne riporta il periodo, ma non spiega cosa successe in quegli anni. Per esempio, come mai la popolazione a Gaza dal 1950 in avanti aumentò vertiginosamente? Partiamo dal principio. Il 29 novembre 1947 viene adottata la Risoluzione 181 dell’ONU, che spartisce il territorio palestinese tra la nuova forza sionista di Israele e lo stato arabo-palestinese.
Come riporta lo storico Ilan Pappé, l’applicazione di tale risoluzione provoca subito i primi scontri tra palestinesi e sionisti che causano l’esodo di 75mila persone dai villaggi assaltati. A metà febbraio del ‘48 seguono espulsioni forzate di altri villaggi, il mese seguente entra in vigore il Piano Dalet che comportò lo sradicamento ulteriore di 250mila palestinesi e fu accompagnato da massacri terribili come quello di Deir Yassin.
Quello che avviene in quei mesi è un vero e proprio urbicidio, ossia la distruzione sistematica delle città dal punto di vista fisico, culturale e identitario. Tra queste ricade per esempio Haifa. Tutti questi eventi ricadono sotto un nome esplicativo: nakba, “la catastrofe”, l’esodo forzato della popolazione arabo-palestinese. Gli eventi costringono i Palestinesi a vivere in campi profughi e secondo le stime dell’ONU alla fine del primo conflitto 711mila palestinesi sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, parliamo di metà della popolazione araba presente in Palestina.
Gaza e la Striscia diventano parte dell’Egitto, sebbene lo Stato arabo non riconobbe mai fino in fondo la propria amministrazione in quei territori. La situazione è tragica, Gaza aumenta di popolazione senza controllo per il continuo arrivo di sfollati e di rifugiati politici a causa delle persecuzioni.
Non solo, vengono citati i dati degli anni ‘60, senza però riportare che nel ‘67 il conflitto dei Sei Giorni portò ad ulteriori sfollati che finirono per stanziarsi a Gaza e così è anche per i dati tra il 2000 e il 2013, anni in cui continuarono le azioni belliche israeliane e che costrinsero sempre più la popolazione a spostarsi in zone da potersi definire “sicure” o, addirittura, costretti alla residenza forzata a Gaza, in particolare dopo l’innalzamento del muro di cinta che rese la Striscia il più grande campo di concentramento al mondo.
La crescita è inoltre spinta da un alto tasso di natalità, dato in particolare dall’alto numero percentuale di popolazione giovane, ma al contempo non è da confondere un alto tasso con un diffuso benessere economico.
L’ufficio centrale palestinese di statistica (Pcbs) ci tiene a precisare una cosa sul suo sito ufficiale che riprende anche gli studi usati da Libero: tutti i dati risalgono a prima del 7 ottobre 2023. Zebuloni, sostanzialmente, ha estrapolato storicamente i dati dal contesto, senza darne una lettura che spieghi il perché dell’aumento graduale della popolazione a Gaza, ma al contempo non ha letto le note delle organizzazioni internazionali ai dati statistici, ossia la modalità di raccolta dei dati e a quando risalgono tali dati e le proiezioni. Secondo i dati più recenti rilasciati dal Pcbs la popolazione totale della Striscia è crollata del 6%, ma la situazione potrebbe essere ancora più grave secondo gli osservatori internazionali.
Un giorno anche i giornalisti dovranno rispondere di quanto stanno scrivendo pur di difendere un genocidio.
Thomas Predieri