Quella a cui abbiamo assistito ieri in Consiglio regionale del Piemonte rappresenta una delle pagine più buie della recente storia politica della nostra Regione.
Diversi esponenti della maggioranza si sono presentati in aula esibendo un cartello che rivendicava con orgoglio come il cosiddetto “bonus Vesta” fosse stato assegnato per il 90% a famiglie italiane.
Un gesto dal chiaro significato politico, che nulla ha a che vedere con l’obiettivo di sostenere le famiglie in difficoltà. A contrario, dimostra la volontà di creare una frattura sociale, escludendo dai benefici regionali proprio le persone più vulnerabili: chi è penalizzato dalla barriera linguistica, chi non ha accesso a una connessione stabile o chi vive condizioni di analfabetismo digitale.
Questa dinamica non può essere letta solo come una scelta politica discutibile: si tratta di un esempio evidente di razzismo istituzionale, ovvero pratiche e politiche che producono discriminazioni sistematiche. E un concetto riconosciuto anche dal Parlamento europeo, che ha sottolineato come il razzismo istituzionale sia un problema concreto e diffuso nelle società europee.
L’inclusione passa anche — e soprattutto — attraverso le politiche sociali. E quelle messe in campo dalla Giunta regionale di destra appaiono sempre più orientate alla discriminazione, piuttosto che all’equità.
Le persone migranti, che vivono, lavorano e crescono i loro figli in Piemonte, hanno lo stesso diritto degli altri cittadini ac accedere alle misure di sostegno pubblico. Escluderle sistematicamente, in nome di una presunta “priorità nazionale”, significa negare la realtà di una società plurale e rafforzare logiche di esclusione profondamente ingiuste.