Un pro­get­to cui tenia­mo mol­tis­si­mo. Per rac­co­glie­re e pro­muo­ve­re tut­te le infor­ma­zio­ni, le ricer­che, le leg­gi, i model­li stra­nie­ri, le nor­me comu­na­li che pos­so­no fare spa­zio all’energia puli­ta, rin­no­va­bi­le. Alla ricer­ca. Al cli­ma­te proo­fing, come lo chia­ma­no gli ingle­si, che vuol dire inte­gra­re le misu­re con­tro il cam­bia­men­to cli­ma­ti­co nel­lo svi­lup­po di pro­get­ti infrastrutturali.

 

La linea (ver­de) è clima@possibile.com per segna­la­re la vostra dispo­ni­bi­li­tà, per indi­ca­re solu­zio­ni o pro­po­ste, per denun­cia­re ritar­di o situa­zio­ni critiche. 

 

Ci muo­ve­re­mo nell’ambito del Pos­si­bi­le per offri­re a nostra vol­ta solu­zio­ni poli­ti­che e ammi­ni­stra­ti­ve, per dare visi­bi­li­tà a pro­get­ti avan­za­ti e con­vin­cen­ti, per crea­re comu­ni­tà intor­no alla que­stio­ne poli­ti­ca più rile­van­te per la nostra generazione.

 

Per­ché è di svi­lup­po che abbia­mo biso­gno, di indi­pen­den­za ener­ge­ti­ca e di futu­ro soprattutto.

 

Par­tia­mo da qui. Per sal­va­re il pia­ne­ta (solo?).

Giuseppe Civati

UNA PRIMA SOLUZIONE: COMUNITÀ PER SUPERARE LA POVERTÀ ENERGETICA

Cri­si ener­ge­ti­ca e cri­si cli­ma­ti­ca si riflet­to­no sul­lo spet­tro del­la disu­gua­glian­za in Ita­lia. La pover­tà ener­ge­ti­ca impli­ca la dif­fi­col­tà di acqui­sta­re un panie­re mini­mo di beni e ser­vi­zi ener­ge­ti­ci o, in altre paro­le, un acces­so ai ser­vi­zi ener­ge­ti­ci che impli­ca una distra­zio­ne di risor­se, in ter­mi­ni di spe­sa o di red­di­to, supe­rio­re a un “valo­re nor­ma­le” (PNEC 2019). 

 

Secon­do ENEA, nel 2021 le fami­glie che ver­sa­no in con­di­zio­ni di pover­tà ener­ge­ti­ca sono 2,3 milio­ni, l’8.8% del totale.

Cosa fare?

La rispo­sta non può che esse­re di soli­da­rie­tà, di condivisione.

 

Final­men­te è pos­si­bi­le costi­tui­re nel nostro pae­se le Comu­ni­tà Ener­ge­ti­che Rin­no­va­bi­li e pra­ti­ca­re l’Autoconsumo col­let­ti­vo: le isti­tu­zio­ni potreb­be­ro favo­ri­re que­sti per­cor­si pro­po­nen­do­si come dri­ver del­la decen­tra­liz­za­zio­ne ener­ge­ti­ca a par­ti­re dal­la mes­sa a dispo­si­zio­ne dei tet­ti degli edi­fi­ci pub­bli­ci per instal­la­zio­ni di impian­ti di pro­du­zio­ne di ener­gie rin­no­va­bi­li in regi­me di comu­ni­tà ener­ge­ti­ca, in modo da sod­di­sfa­re sia il fab­bi­so­gno dell’ente pub­bli­co, sia quel­lo del­le abi­ta­zio­ni di pros­si­mi­tà, favo­ren­do dap­pri­ma l’accesso alla fami­glie in dif­fi­col­tà economica. 

 

Affran­car­si il più pos­si­bi­le dal­le fon­ti fos­si­li non può esse­re una pre­ro­ga­ti­va dei più abbien­ti: si può supe­ra­re la cri­si cli­ma­ti­ca (e quel­la ener­ge­ti­ca, che è espres­sa deri­va­zio­ne essen­do l’intersezione del­le dina­mi­che del pote­re fos­si­le) tenen­do tut­te e tut­ti insieme.

 

La sfida delle comunità al potere fossile

Segna­te­vi que­sta data, il 23 dicem­bre 1973. Pro­ba­bil­men­te è un gior­no di cui non si è discus­so abba­stan­za, che non è sta­to abba­stan­za stu­dia­to, né com­pre­so. Per­ché oggi ci ritro­via­mo a ripe­te­re in par­te i mede­si­mi erro­ri di quel tem­po ormai anda­to, un tem­po in cui effet­ti­va­men­te il desti­no di una col­let­ti­vi­tà pote­va esse­re dav­ve­ro pre­so per mano e por­ta­to altrove.

Il 23 dicem­bre 1973 i Pae­si pro­dut­to­ri di petro­lio deci­do­no che da quel momen­to in poi saran­no loro a defi­ni­re il prez­zo del greg­gio. Deci­do­no subi­to per un rapi­do aumen­to, e la cri­si defla­gra in tut­ti i mer­ca­ti. È anche quel­lo un tem­po di guer­ra (del­lo Yom Kip­pur, tra Israe­le da una par­te, Egit­to e Siria dall’altra) e lo sce­na­rio di cre­sci­ta sen­za limi­ti, di dispo­ni­bi­li­tà ad impe­ri­tu­ro di mate­rie pri­me ed ener­gia sta per scon­trar­si con­tro il muro del­la dipen­den­za dai com­bu­sti­bi­li fos­si­li. I pae­si occi­den­ta­li non potran­no più dispor­re del petro­lio come voglio­no. Un altro pote­re, un car­tel­lo costi­tui­to dai pae­si che estrag­go­no petro­lio, si è costi­tui­to, distur­ban­do alla fon­te gli approv­vi­gio­na­men­ti ver­so i nostri siste­mi indu­stria­li. A quel tem­po si arri­va per­si­no a pro­fe­tiz­za­re il decli­no del­la supre­ma­zia occi­den­ta­le nel mon­do. Ne scri­ve il New York Times, pre­co­niz­zan­do l’avvento di un nuo­vo Medioe­vo, un’età in cui il lume (a gas) del­la ragio­ne sarà defi­ni­ti­va­men­te spen­to. Del resto, il pote­re di con­trol­lo sul­la risor­sa petro­lio sem­bra venir meno e occor­re tro­va­re una via d’uscita a tut­ti i costi. Si sareb­be ten­ta­ti dal dire che — in quel momen­to — del cam­bia­men­to cli­ma­ti­co non si sia fat­ta men­zio­ne alcu­na, ma così non è. Sono pro­prio que­gli anni in cui si apre il dibat­ti­to sui “limi­ti del­lo sviluppo”.

In un cor­to­cir­cui­to tra pas­sa­to e pre­sen­te, men­tre scri­vo que­sto para­gra­fo, una fra­na tra­vol­ge per­so­ne, case, auto­mo­bi­li in una fra­zio­ne di Ischia, Casa­mic­cio­la. Il ter­re­no si è sem­pli­ce­men­te lique­fat­to duran­te una piog­gia con­si­sten­te, 120 mm di pre­ci­pi­ta­zio­ne con­cen­tra­ti in poche ore e in un pic­co­lo faz­zo­let­to di ter­ra. Sce­ne ter­ri­bi­li accom­pa­gna­no la con­ta del­le vit­ti­me, dura­ta gior­ni, così come le ope­ra­zio­ni di sal­va­tag­gio. È sem­pre la stes­sa sto­ria. Nel fan­go non resta­no che i detri­ti e le paro­le spe­se inu­til­men­te. Ogni sta­gio­ne por­ta con sé il rischio di un’alluvione, un rischio che cre­sce in rela­zio­ne espo­nen­zia­le all’avanzare del­la cri­si cli­ma­ti­ca. Il nostro ter­ri­to­rio anchi­lo­sa­to e fra­gi­le deve affron­ta­re ormai da anni l’impatto dell’energia assor­bi­ta dal mare in esta­ti sem­pre più tro­pi­ca­li. Ener­gia che pri­ma o poi tro­ve­rà la stra­da per sca­ri­car­si altrove.

La cor­re­la­zio­ne con gli impat­ti del­le atti­vi­tà uma­ne, con l’uso dei com­bu­sti­bi­li fos­si­li e il rila­scio in atmo­sfe­ra di ton­nel­la­te di ani­dri­de car­bo­ni­ca, non dovreb­be più esse­re in discus­sio­ne. Eppu­re, nono­stan­te il disa­stro, nono­stan­te i cada­ve­ri anco­ra da estrar­re dal­la mel­ma lique­fat­ta, il pote­re poli­ti­co pia­ni­fi­ca le azio­ni per affron­ta­re l’altra cri­si, quel­la ener­ge­ti­ca, seguen­do un filo logi­co selet­ti­vo vol­to a esclu­de­re altre cau­sa­li­tà dal­le ragio­ni mera­men­te geopolitiche.

Ma oggi come nel 1973, gli even­ti straor­di­na­ri si som­ma­no alle con­di­zio­ni siste­mi­che. La guer­ra del­lo Yom Kip­pur è la cri­si attra­ver­so cui sono emer­si i rischi con­nes­si ai rap­por­ti di pote­re deri­van­ti dall’estrazione e dall’uso dei com­bu­sti­bi­li fos­si­li, petro­lio e gas natu­ra­le. Il car­tel­lo orga­niz­za­to dai Pae­si Ara­bi non è diver­so dal pote­re oli­go­po­li­sti­co che la Rus­sia è riu­sci­ta a costrui­re in più di ven­ti anni di poli­ti­ca del gas in Euro­pa. All’epoca, nel 1973–1974 la rispo­sta è insie­me reces­si­va e regres­si­va: all’austerità, alla ridu­zio­ne dei con­su­mi vie­ne affian­ca­ta la ricer­ca spa­smo­di­ca sul ter­ri­to­rio nazio­na­le del­le fon­ti di idro­car­bu­ri neces­sa­rie ad alleg­ge­ri­re la dipen­den­za del Pae­se dal­le for­ni­tu­re este­re. Si comin­cia a per­fo­ra­re dap­per­tut­to, spe­cie in Pia­nu­ra Pada­na, e i gia­ci­men­ti sco­per­ti sono annun­cia­ti in pom­pa magna sui gior­na­li, ma sareb­be­ro ser­vi­ti a sod­di­sfa­re il fab­bi­so­gno nazio­na­le per pochi mesi a fron­te di costi mol­to ele­va­ti. Un’avventura desti­na­ta a esau­rir­si nell’arco di un decen­nio, con la chiu­su­ra di qua­si tut­ti i nuo­vi siti estrat­ti­vi aperti.

Qual­co­sa di simi­le sta suc­ce­den­do anche oggi: con il Decre­to Aiu­ti qua­ter, infat­ti, il gover­no Melo­ni — appe­na inse­dia­to­si — deci­de di rila­scia­re nuo­ve con­ces­sio­ni per l’attività di “ricer­ca e col­ti­va­zio­ne” di idro­car­bu­ri in mare, nel trat­to «com­pre­so tra il 45° paral­le­lo e il paral­le­lo pas­san­te per la foce del ramo di Goro del fiu­me Po, a una distan­za dal­le linee di costa supe­rio­re a 9 miglia e aven­ti un poten­zia­le mine­ra­rio di gas per un quan­ti­ta­ti­vo di riser­va cer­ta supe­rio­re a una soglia di 500 milio­ni di metri cubi». Pren­den­do a pre­sti­to le paro­le di Karl Marx, la Sto­ria si ripe­te sem­pre due vol­te, «la pri­ma vol­ta come tra­ge­dia, la secon­da vol­ta come farsa».

La diver­si­fi­ca­zio­ne del­le fon­ti di approv­vi­gio­na­men­to intra­pre­sa dal gover­no Dra­ghi, è sta­ta mera­men­te impron­ta­ta a rim­piaz­za­re un for­ni­to­re di com­bu­sti­bi­li fos­si­li con altri. Il pia­no per la sosti­tu­zio­ne del gas rus­so (che nel 2020 con­tri­bui­va al 43% del fab­bi­so­gno) con­si­ste nell’aumento del­le for­ni­tu­re di GNL, gas natu­ra­le lique­fat­to, via nave (dagli Sta­ti Uni­ti e dal Qatar) e di gas dai meta­no­dot­ti che col­le­ga­no il nostro pae­se all’Azerbaigian, all’Algeria e alla Libia. Il pote­re fos­si­le impli­ca di pas­sa­re da una dipen­den­za all’altra. Il Qatar è ora uno dei nostri prin­ci­pa­li for­ni­to­ri, dal momen­to che detie­ne il 10% del gas che impor­tia­mo dal­l’e­ste­ro. Lo scor­so giu­gno 2022, ENI ha fir­ma­to un accor­do con Qata­rE­ner­gy per costi­tui­re la joint ven­tu­re North Field East (NFE) di cui fan­no par­te 4 mega tre­ni GNL con una capa­ci­tà com­bi­na­ta di lique­fa­zio­ne pari a 32 milio­ni di ton­nel­la­te all’anno. Il pro­get­to con­sen­ti­rà di aumen­ta­re la capa­ci­tà di espor­ta­zio­ne di GNL del Qatar dagli attua­li 77 milio­ni a 110 milio­ni di ton­nel­la­te all’anno. Gli “epi­so­di” di cor­ru­zio­ne emer­si nel Par­la­men­to euro­peo — che coin­vol­go­no prin­ci­pal­men­te par­la­men­ta­ri ita­lia­ni — dimo­stra­no infi­ne che il bisht lo abbia­mo indos­sa­to tut­ti, già da mol­to tempo.

Cri­si ener­ge­ti­ca e cri­si cli­ma­ti­ca si riflet­to­no sul­lo spet­tro del­la disu­gua­glian­za in Ita­lia. La pover­tà ener­ge­ti­ca “impli­ca la dif­fi­col­tà di acqui­sta­re un panie­re mini­mo di beni e ser­vi­zi ener­ge­ti­ci” o, in altre paro­le, un acces­so ai ser­vi­zi ener­ge­ti­ci che impli­ca una distra­zio­ne di risor­se, in ter­mi­ni di spe­sa o di red­di­to, supe­rio­re a un “valo­re nor­ma­le” (PNEC 2019). Nel 2021 (dati ENEA) le fami­glie che ver­sa­no in con­di­zio­ni di pover­tà ener­ge­ti­ca sono 2,3 milio­ni, l’8.8% del totale.

Secon­do l’Os­ser­va­to­rio ita­lia­no sul­la Pover­tà ener­ge­ti­ca, nel 2021 si è assi­sti­to a un incre­men­to del­la dispa­ri­tà a livel­lo ter­ri­to­ria­le che tut­ta­via rical­ca solo par­zial­men­te la tra­di­zio­na­le spe­re­qua­zio­ne di red­di­to e ric­chez­za del nostro pae­se, inte­res­san­do mag­gior­men­te il Sud (iso­le esclu­se, che bene­fi­cia­no del cli­ma inver­na­le più mite) e il Nord-Est. All’interno di que­ste aree, sono più col­pi­ti i pic­co­li cen­tri e le aree subur­ba­ne, dove la pover­tà ener­ge­ti­ca risul­ta in crescita.

Gli inter­ven­ti del legi­sla­to­re si sono con­cen­tra­ti su una gene­ri­ca cal­mie­ra­zio­ne dei prez­zi di elet­tri­ci­tà e car­bu­ran­ti (tra azze­ra­men­to degli one­ri di siste­ma del set­to­re elet­tri­co e ridu­zio­ne del­le acci­se sui car­bu­ran­ti), tan­to che le risor­se mes­se in gio­co fino al momen­to in cui si scri­ve ammon­ta­no a cir­ca 1–1,5 pun­ti di PIL, un cospi­cuo inter­ven­to a soste­gno del­la doman­da che tut­ta­via ha incen­ti­va­to il con­su­mo e l’ulteriore spe­cu­la­zio­ne. La spe­sa com­ples­si­va per i bonus elet­tri­co e gas ha rag­giun­to 700 milio­ni di euro, tre vol­te gli impor­ti medi degli anni precedenti.

Stan­do ai dati ISTAT (cfr. “La redi­stri­bu­zio­ne del red­di­to in Ita­lia”, 23 novem­bre 2022), l’insieme del­le misu­re adot­ta­te nel cor­so dell’ultimo anno sola­re dal gover­no Dra­ghi (inclu­se la rifor­ma Irpef, l’assegno uni­co e la fit­ta rete di bonus) ha com­por­ta­to la ridu­zio­ne dell’indice di Gini dal 30,8 al 29,6. Seb­be­ne le poli­ti­che di soste­gno abbia­no avu­to un effet­to miti­ga­to­re del­la gra­ve cri­si che stia­mo attra­ver­san­do, la doman­da da por­si ora è sul­la loro soste­ni­bi­li­tà nel tem­po. Non sono infat­ti chia­ri i con­tor­ni di que­sta cri­si. L’alto livel­lo di infla­zio­ne (+11,6% su base annua) potreb­be per­ma­ne­re anco­ra per diver­si mesi, stan­te anche ai ritar­di di inter­ven­to sui tas­si di inte­res­se da par­te del­la BCE (rispet­to alle azio­ni intra­pre­se dal­la Fede­ral Reser­ve con un pia­no di inter­ven­to chia­ro e comu­ni­ca­to in anti­ci­po). La com­bi­na­zio­ne di alti livel­li inflat­ti­vi e di una inter­ru­zio­ne dei pro­gram­mi di Quan­ti­ta­ti­ve Easing del­la BCE fareb­be inol­tre peg­gio­ra­re lo sta­to dei nostri con­ti pub­bli­ci, ridu­cen­do ulte­rior­men­te la capa­ci­tà di inter­ven­to. È quin­di dove­ro­so rior­ga­niz­za­re que­sti stru­men­ti prov­vi­so­ri e orien­tar­li ver­so gli indi­vi­dui effet­ti­va­men­te in dif­fi­col­tà, ridu­cen­do anche gli effet­ti distor­si­vi sul mer­ca­to che una detas­sa­zio­ne a tap­pe­to può sol­le­ci­ta­re. Misu­re a soste­gno di sala­rio e red­di­to (attra­ver­so stru­men­ti come il sala­rio mini­mo e il red­di­to di “cit­ta­di­nan­za”, o per meglio dire, red­di­to mini­mo garan­ti­to) dovreb­be­ro esse­re quin­di affian­ca­te a una rifor­ma fisca­le nel segno del­la pro­gres­si­vi­tà e del­la mag­gio­re tas­sa­zio­ne del­la ric­chez­za, e a misu­re di lun­go perio­do che inter­ven­ga­no sul­le inef­fi­cien­ze e che per­met­ta­no rispar­mio ener­ge­ti­co per le fami­glie svantaggiate.

La rispo­sta al pote­re fos­si­le, ori­gi­ne e cau­sa del­la cri­si cli­ma­ti­ca, potreb­be tro­var­si nel­la com­bi­na­zio­ne del­le tec­no­lo­gie rin­no­va­bi­li asso­cia­te a model­li orga­niz­za­ti­vi di tipo coo­pe­ra­ti­vo, che pun­ta­no cioè alle comu­ni­tà loca­li di pro­dut­to­ri — con­su­ma­to­ri respon­sa­bi­li di ener­gia. Non è una novi­tà asso­lu­ta. Il nostro pae­se ha una sto­ria più che cen­te­na­ria di coo­pe­ra­ti­ve dedi­ca­te alla pro­du­zio­ne di ener­gia elet­tri­ca. Model­li che sono spe­ci­fi­ci di alcu­ne aree geo­gra­fi­che e sostan­zial­men­te di quel­la che in ori­gi­ne era la fon­te prin­ci­pa­le di pro­du­zio­ne di ener­gia, ossia l’idroelettrico.

Dob­bia­mo risa­li­re infat­ti al 1897 per vede­re la pri­ma Socie­tà elet­tri­ca a Mor­be­gno (Son­drio). Poi seguo­no nel 1905 il Con­sor­zio Elet­tri­co Indu­stria­le di Ste­ni­co (Tren­to), nel 1911 la SECAB, Socie­tà elet­tri­ca coo­pe­ra­ti­va dell’Alto Bût nel Comu­ne di Paluz­za (Udi­ne). Que­ste ini­zia­ti­ve di tipo coo­pe­ra­ti­vi­sti­co-rura­le si pro­trag­go­no sino alla fine degli anni Ven­ti. Dopo la nazio­na­liz­za­zio­ne dell’energia elet­tri­ca (1962), negli anni ’70 si è prov­ve­du­to all’e­let­tri­fi­ca­zio­ne rura­le e ciò ha ero­so spa­zio alle coo­pe­ra­ti­ve, che tra l’altro non pos­se­de­va­no la capa­ci­tà di accu­mu­la­re lo stock di capi­ta­le neces­sa­rio a finan­zia­re l’incremento di pro­du­zio­ne vol­to a sod­di­sfa­re l’aumento dei con­su­mi. Ciò è val­so fin­tan­to che la prin­ci­pa­le risor­sa rin­no­va­bi­le era l’idroelettrico, il qua­le richie­de comun­que impor­tan­ti inve­sti­men­ti in impian­ti e mac­chi­na­ri. Cio­no­no­stan­te, la mag­gior par­te di que­ste ini­zia­ti­ve è soprav­vis­su­ta ai gior­ni nostri e ha potu­to met­te­re in atto azio­ni per diver­si­fi­ca­re la fon­te rin­no­va­bi­le, instal­lan­do prin­ci­pal­men­te nuo­vi impian­ti fotovoltaici.

Quel che si vuo­le qui con­si­de­ra­re è il model­lo orga­niz­za­ti­vo del­la coo­pe­ra­ti­va. Il CEIS, Con­sor­zio Elet­tri­co Indu­stria­le di Ste­ni­co (tut­to­ra in esse­re) ha uno sta­tu­to che all’articolo 3 recita:

«La Coo­pe­ra­ti­va è ret­ta e disci­pli­na­ta secon­do il prin­ci­pio del­la mutua­li­tà sen­za fini di spe­cu­la­zio­ne pri­va­ta ed ha per scopo:

  1. a) la for­ni­tu­ra di ser­vi­zi alle miglio­ri con­di­zio­ni eco­no­mi­che, socia­li e pro­fes­sio­na­li pos­si­bi­li nell’ambito del­le leg­gi, del­lo sta­tu­to socia­le e di even­tua­li rego­la­men­ti interni;
  2. b) la pro­mo­zio­ne di ini­zia­ti­ve ed ope­re inte­se a favo­ri­re il rispar­mio e l’uso effi­cien­te del­le fon­ti di ener­gia, la sal­va­guar­dia dell’ambiente ed uno svi­lup­po com­pa­ti­bi­le con le risor­se del territorio».

La socie­tà ero­ga i pro­pri ser­vi­zi nel ter­ri­to­rio dei cin­que Comu­ni del­le Giu­di­ca­rie Este­rio­ri: Ste­ni­co, San Loren­zo Dor­si­no, Coma­no Ter­me, Bleg­gio Supe­rio­re e Fia­vé. Lo sche­ma orga­niz­za­ti­vo è com­po­sto dall’Assemblea dei Soci, dal Con­si­glio di ammi­ni­stra­zio­ne, da un Diret­to­re, dal Comi­ta­to di con­trol­lo sul­la gestio­ne; infi­ne da un’Area ammi­ni­stra­ti­va e un’Area tec­ni­ca. Il rego­la­men­to assem­blea­re pre­ve­de di appli­ca­re la demo­cra­zia deci­sio­na­le median­te assem­blee sepa­ra­te di zona, nel­le qua­le ven­go­no illu­stra­ti e com­men­ta­ti gli argo­men­ti pre­vi­sti all’Ordine del Gior­no del­l’As­sem­blea gene­ra­le. Il tas­so di par­te­ci­pa­zio­ne è media­men­te intor­no al 25% (su 3933 soci — dato anno 2019).

Il cri­te­rio dell’aiuto mutua­li­sti­co che è alla base del­le coo­pe­ra­ti­ve ener­ge­ti­che sto­ri­che non sem­bra emer­ge­re con for­za nel caso del­le comu­ni­tà ener­ge­ti­che odier­ne, alme­no non dal testo del­la nor­ma­ti­va (D. Lgs. 199/2021), la qua­le par­la di comu­ni­tà ener­ge­ti­ca (art. 31, com­ma 1) come un “sog­get­to di dirit­to auto­no­mo” che aggre­ga “clien­ti fina­li e clien­ti dome­sti­ci” con l’obiettivo di otte­ne­re “bene­fi­ci ambien­ta­li, eco­no­mi­ci e socia­li a livel­lo di comu­ni­tà”. Tut­ta­via, la nor­ma è ben chia­ra lad­do­ve spe­ci­fi­ca l’assenza del fine del­la spe­cu­la­zio­ne pri­va­ta, ossia lo sco­po di lucro e la rea­liz­za­zio­ne di un profitto.

Que­sto è l’aspetto diri­men­te del­la CER: non è costi­tui­ta per un pro­fit­to pri­va­to ben­sì per una uti­li­tà comu­ne, con­di­vi­sa con la comu­ni­tà inte­ra dal­la qua­le sor­ge. La comu­ni­tà mede­si­ma è al tem­po stes­so pro­dut­tri­ce e con­su­ma­tri­ce del­la pro­pria ener­gia, par­te­ci­pa — con le moda­li­tà pre­vi­ste dal­lo sta­tu­to — alle deci­sio­ni allo­ca­ti­ve. Si pone sul mer­ca­to elet­tri­co come sog­get­to in gra­do di immet­te­re l’energia in ecces­so in rete e di esse­re remu­ne­ra­ta per que­sto. Seb­be­ne la leg­ge non disci­pli­ni in tal sen­so, lascian­do così liber­tà di scel­ta, appa­re evi­den­te che la for­ma orga­niz­za­ti­va mag­gior­men­te ido­nea a espli­ca­re la fina­li­tà espres­sa con l’accordo tra i soci sia la coo­pe­ra­ti­va a “mutua­li­tà pre­va­len­te”, la qua­le deve rispet­ta­re un requi­si­to di tipo for­ma­le, inclu­den­do nel­lo sta­tu­to le clau­so­le di non lucra­ti­vi­tà di cui all’art. 2514 del Codi­ce Civi­le, e un requi­si­to di tipo gestio­na­le (art. 2512 c.c.), ossia che l’attività del­la coo­pe­ra­ti­va sia svol­ta per più del 50% ver­so i soci stes­si. La coo­pe­ra­ti­va offre mol­ti van­tag­gi rispet­to alla for­ma del­l’as­so­cia­zio­ne. D’al­tra par­te, com­por­ta mag­gio­ri costi nel­la gestio­ne ordi­na­ria. In ogni caso, con l’am­plia­men­to del peri­me­tro del­le CER alla cabi­na pri­ma­ria, si potran­no coin­vol­ge­re più atto­ri e pro­ba­bil­men­te i costi di gestio­ne saran­no mag­gior­men­te sostenibili

Men­tre scri­via­mo stia­mo attra­ver­san­do anco­ra una fase di atte­sa e tran­si­zio­ne: tut­ti gli ope­ra­to­ri aspet­ta­no il fami­ge­ra­to Decre­to attua­ti­vo, la cui defi­ni­ti­va appro­va­zio­ne è atte­sa da un momen­to all’altro. Il testo dovreb­be defi­ni­re una vol­ta per tut­te come potran­no ope­ra­re le comu­ni­tà ener­ge­ti­che. Il rischio di atti­va­re scel­te sba­glia­te o addi­rit­tu­ra vie­ta­te è alto. La prio­ri­tà poli­ti­ca è pen­sa­re al ruo­lo del­le comu­ni­tà ener­ge­ti­che nei siste­mi ener­ge­ti­ci del futu­ro, in par­ti­co­la­re dopo que­sta fase incen­ti­van­te. Al momen­to le comu­ni­tà por­ta­no un bene­fi­cio eco­no­mi­co ai mem­bri gra­zie soprat­tut­to all’incentivo sull’energia con­di­vi­sa, ma cosa suc­ce­de­rà dopo? Le CER si pon­go­no come model­lo orga­niz­za­ti­vo mutua­li­sti­co che, se oppor­tu­na­men­te valo­riz­za­to, può esse­re in gra­do da un lato di spez­za­re la dipen­den­za dal pote­re fos­si­le, e dall’altro di costrui­re nuo­vi livel­li di par­te­ci­pa­zio­ne all’interno del­le comunità.

Pre­sen­tia­mo qui di segui­to otto pun­ti per svi­lup­pa­re le comu­ni­tà ener­ge­ti­che rin­no­va­bi­li in Italia:

  • Nes­su­na pre­clu­sio­ne all’accesso: l’unico sbar­ra­men­to all’accesso del­le CER è di tipo tec­ni­co e cor­ri­spon­de alla con­nes­sio­ne in cabi­na pri­ma­ria, che deve esse­re con­di­vi­sa da tut­ti i pro­po­nen­ti (que­sta infor­ma­zio­ne vie­ne for­ni­ta dal distri­bu­to­re com­pe­ten­te in segui­to al rice­vi­men­to del­l’i­stan­za for­ma­le da par­te degli inte­res­sa­ti). La for­ma orga­niz­za­ti­va non può esse­re impie­ga­ta come mez­zo per esclu­de­re uten­ti del­la rete e per­so­ne abi­tan­ti nel­la stes­sa comu­ni­tà geo­gra­fi­ca. Alle CER pos­so­no par­te­ci­pa­re anche le per­so­ne giu­ri­di­che (impre­se, asso­cia­zio­ni ecc.).
  • Prin­ci­pio del­la mutua­li­tà: l’obiettivo del­la CER è il rag­giun­gi­men­to di uno sco­po comu­ne, ossia pro­dur­re ener­gia elet­tri­ca rin­no­va­bi­le a bas­so costo, nel rispet­to dell’ambiente e per con­tri­bui­re al rag­giun­gi­men­to del­la com­ple­ta decar­bo­niz­za­zio­ne del set­to­re elettrico;
  • La for­ma orga­niz­za­ti­va e lo sta­tu­to: la for­ma potreb­be esse­re la più sem­pli­ce, ossia le asso­cia­zio­ni cd. “non rico­no­sciu­te”, oppu­re — come già ricor­da­to — le coo­pe­ra­ti­ve a mutua­li­tà pre­va­len­te. Nel pri­mo caso, gli adem­pi­men­ti sono mino­ri e l’organizzazione è più snel­la; nel secon­do, vi è mag­gio­re sicu­rez­za cir­ca la fina­li­tà mutua­li­sti­ca. Lo sta­tu­to può limi­tar­si a indi­vi­dua­re gli orga­ni fon­da­men­ta­li per il fun­zio­na­men­to del­la CER: l’assemblea dei soci, il diret­ti­vo, l’organo di con­trol­lo. Il Gesto­re dei ser­vi­zi ener­ge­ti­ci è tenu­to a veri­fi­ca­re che lo sta­tu­to garan­ti­sca bene­fi­ci ambien­ta­li, socia­li ed economici.
  • L’impianto o gli impian­ti di pro­du­zio­ne: “ai fini del­l’e­ner­gia con­di­vi­sa rile­va solo la pro­du­zio­ne di ener­gia rin­no­va­bi­le degli impian­ti che   risul­ta­no   nel­la dispo­ni­bi­li­tà e sot­to il con­trol­lo del­la comu­ni­tà”. Gli impian­ti neces­si­ta­no di esse­re dimen­sio­na­ti sul­la base del fab­bi­so­gno sti­ma­to del­la comu­ni­tà. Non neces­sa­ria­men­te però l’impianto deve esse­re di pro­prie­tà del­la comu­ni­tà stes­sa, può esse­re anche in capo a sog­get­ti ter­zi. Gli ade­ren­ti alla comu­ni­tà che sono in pos­ses­so di un impian­to, già in fun­zio­ne al momen­to del­la costi­tu­zio­ne del­la CER, pos­so­no con­di­vi­de­re il sur­plus di pro­du­zio­ne con il resto dei par­te­ci­pan­ti. Pos­so­no altre­sì met­te­re in comu­ne il loro impian­to ma, se incen­ti­va­to, devo­no rinun­cia­re agli incen­ti­vi e anche allo “scam­bio sul posto”.

Sareb­be oppor­tu­no che alle CER sia richie­sto di fare un inven­ta­rio det­ta­glia­to degli impian­ti sot­to­stan­ti la comu­ni­tà mede­si­me e il moni­to­rag­gio dei con­su­mi. Al momen­to in cui si scri­ve, la CER deve comu­ni­ca­re al GSE tut­ti gli impian­ti facen­ti par­te del­la con­fi­gu­ra­zio­ne al fine di richie­de­re l’in­cen­ti­vo: que­ste infor­ma­zio­ni, una vol­ta avvia­ti gli impian­ti, potreb­be­ro esse­re inte­gra­te per la par­te di ana­li­si dei consumi.

  • Il finan­zia­men­to: al momen­to in cui si scri­ve, le CER pos­so­no acce­de­re alle detra­zio­ni fisca­li del 50% sugli impian­ti FER e — fino a 20 KW — al Super­bo­nus 90%. Altre moda­li­tà di finan­zia­men­to pos­so­no esse­re le con­ven­zio­ni con Comu­ni, altri enti ter­ri­to­ria­li o altri sog­get­ti pri­va­ti. È sem­pre pos­si­bi­le il per­cor­so dell’autofinanziamento tra­mi­te rac­col­ta di fon­ti tra i soci, anche se la par­te­ci­pa­zio­ne alla quo­ta non può esse­re una pre­clu­sio­ne all’accesso.

Il PNRR desti­na 2,2 miliar­di di euro di aiu­ti alle nuo­ve comu­ni­tà ener­ge­ti­che rin­no­va­bi­li che sor­ga­no in comu­ni infe­rio­ri a 5000 abitanti.

  • Gli incen­ti­vi. Il Decre­to Incen­ti­vi — in attua­zio­ne dell’art. 8 D. Lgs. 199/2021, in cor­so di appro­va­zio­ne da par­te del Mini­ste­ro dell’Ambiente e del­la Sicu­rez­za ener­ge­ti­ca — sta­bi­li­sce che le CER han­no dirit­to all’incentivo di 110 euro/MWh di ener­gia con­di­vi­sa e con­su­ma­ta per 20 anni (100 euro/MWh per i grup­pi di auto­con­su­mo col­let­ti­vo), men­tre per l’eventuale ecce­den­za di ener­gia il GSE rico­no­sce il valo­re di mer­ca­to, sal­vo che la quo­ta di ener­gia con­di­vi­sa sia infe­rio­re al 70%, nel qual caso si appli­ca il tet­to di 80 euro/MWh. Per l’energia auto­con­su­ma­ta, la CER ha dirit­to anche a un risto­ro pari a 9 euro/MWh, visto che essa non impie­ga le reti di tra­spor­to. Il cri­te­rio di ripar­to dei risto­ri è deci­so auto­no­ma­men­te dal­le sin­go­le comu­ni­tà. Atten­zio­ne: pos­so­no gode­re degli incen­ti­vi sta­bi­li­ti dal decre­to solo gli impian­ti che entra­no in eser­ci­zio suc­ces­si­va­men­te alla data del decre­to, nel limi­te di poten­za di 1 MW (fa fede l’avvio dei lavo­ri). Gli impian­ti pre­e­si­sten­ti, o la cui costru­zio­ne è sta­ta avvia­ta pri­ma del­la data di pub­bli­ca­zio­ne del decre­to, non han­no acces­so agli incen­ti­vi se non per la quo­ta del 30% del­la nuo­va produzione.
  • Il ruo­lo degli Enti loca­li: le isti­tu­zio­ni potreb­be­ro favo­ri­re que­sti per­cor­si pro­po­nen­do­si come fau­to­ri del­la decen­tra­liz­za­zio­ne ener­ge­ti­ca a par­ti­re dal­la mes­sa a dispo­si­zio­ne dei tet­ti degli edi­fi­ci pub­bli­ci per instal­la­zio­ni di impian­ti FER in regi­me di comu­ni­tà ener­ge­ti­ca, in modo da sod­di­sfa­re sia il fab­bi­so­gno dell’ente pub­bli­co, sia quel­lo del­le abi­ta­zio­ni di pros­si­mi­tà, favo­ren­do dap­pri­ma l’accesso alle fami­glie in dif­fi­col­tà eco­no­mi­ca. Affran­car­si il più pos­si­bi­le dal­le fon­ti fos­si­li non può esse­re una pre­ro­ga­ti­va dei più abbien­ti: si può supe­ra­re la cri­si cli­ma­ti­ca (e quel­la ener­ge­ti­ca, che è espres­sa deri­va­zio­ne essen­do l’intersezione del­le dina­mi­che del pote­re fos­si­le) tenen­do tut­ti insieme.
  • Il col­lo di bot­ti­glia: al momen­to ogni sin­go­lo impian­to non può supe­ra­re cia­scu­no la poten­za di 1 MW. Que­sto costi­tui­sce un vin­co­lo trop­po strin­gen­te per l’affermazione del­le CER in ambi­to industriale.

Sentimento popolare, sentimento climatico. 

La politica e le soluzioni per uscire dalla crisi

a cura di Davi­de Serafin

Testo pub­bli­ca­to come appen­di­ce di “Struz­zi! L’e­mer­gen­za cli­ma­ti­ca e i cri­mi­na­li che la nega­no” di Giu­sep­pe Civati

È neces­sa­ria e urgen­te una stra­te­gia nazio­na­le, a ogni livel­lo poli­ti­co e ammi­ni­stra­ti­vo, nel siste­ma pub­bli­co e in quel­lo pri­va­to, alla ricer­ca di solu­zio­ni inno­va­ti­ve e di pra­ti­che sem­pre più coe­ren­ti con l’obiettivo di ridur­re il nostro impat­to sull’ambiente e le nostre emissioni.

Lo ripe­tia­mo da anni e insi­stia­mo per­ché non solo que­sti argo­men­ti e que­sti obiet­ti­vi entri­no nell’agenda poli­ti­ca, ma la influen­zi­no e la orien­ti­no in ogni sua deci­sio­ne, in ogni sua scelta.

Offria­mo qui di segui­to alcu­ne solu­zio­ni, nel­la con­vin­zio­ne però che ognu­na deb­ba esse­re soste­nu­ta da un sen­ti­men­to popo­la­re e da una pre­ci­sa volon­tà poli­ti­ca che sap­pia rap­pre­sen­tar­lo. Per sot­trar­ci ai rischi che cor­ria­mo, per ren­de­re più capa­ce e com­pe­ti­ti­vo il nostro Pae­se, sot­to ogni pun­to di vista.

Il cli­ma è la chia­ve del­la nostra sal­vez­za e del­la nostra pro­spe­ri­tà col­let­ti­va. È qual­co­sa di più di una opzio­ne poli­ti­ca: è un fat­to cul­tu­ra­le e di pra­ti­ca quo­ti­dia­na. Una mis­sio­ne che potreb­be dare sen­so a mol­te scel­te che paio­no attual­men­te incer­te e disar­ti­co­la­te. Per usci­re dall’inerzia e dal­la rassegnazione.

Gli ele­men­ti che tro­ve­re­te qui di segui­to sono pen­sa­ti come appun­ti per una leg­ge sul cli­ma, leg­ge che il nostro Pae­se anco­ra non ha discus­so né appro­va­to, men­tre altri – Ger­ma­nia, Fran­cia, Spa­gna, UK – han­no già pro­mul­ga­to. In par­ti­co­la­re, ci sen­tia­mo mol­to vici­ni al testo spa­gno­lo, che ci pare un rife­ri­men­to cre­di­bi­le e alla nostra portata.

Ver­reb­be da chie­der­si se dav­ve­ro stia­mo ascol­tan­do la voce del­la Terra.

Ver­reb­be da chie­der­si quan­do le cose che si sono rot­te saran­no dav­ve­ro aggiu­sta­te, quan­do il mon­do che si lique­fa sot­to tem­pe­ra­tu­re fuo­ri da tut­te le sta­ti­sti­che ver­rà ripa­ra­to e tenu­to con cura.

Quan­do. Non per­ché. Le ragio­ni sono evi­den­ti e si chia­ma­no cri­si cli­ma­ti­ca, pover­tà, discri­mi­na­zio­ne, disu­gua­glian­ze, ingiu­sti­zia. Se si doves­se tor­na­re a fare l’analisi del­le cau­se, dac­ca­po, come in una per­ver­sa ripro­po­si­zio­ne dell’uguale, allo­ra dovrem­mo smet­te­re subi­to di scri­ve­re que­ste righe e di discu­te­re con chicchessia.

Quan­do. Non come. Ci sono azio­ni da met­te­re in cam­po, sen­za più ter­gi­ver­sa­re. La sta­gio­ne che stia­mo viven­do, sia in sen­so cli­ma­to­lo­gi­co che in sen­so mera­men­te nar­ra­ti­vo, pre­sen­ta segni ine­qui­vo­ca­bi­li – ampia­men­te noti e descrit­ti nel­le ricer­che scientifiche.

Da dove comin­cia­re? Lo abbia­mo ripe­tu­to come un man­tra: cli­ma, pro­gres­si­vi­tà, patri­mo­nia­le. E scuo­la e ricer­ca, per­ché dob­bia­mo pre­pa­rar­ci, esse­re in gra­do di indi­vi­dua­re le solu­zio­ni tec­ni­che e gli approc­ci socia­li ade­gua­ti, mesco­lan­do inno­va­zio­ne e capa­ci­tà di tene­re tut­te e tut­ti insieme.

  1. Un pun­to di pil e una stra­te­gia chia­ra sul­le ener­gie rin­no­va­bi­li, un inve­sti­men­to che dà lavo­ro e ridu­ce la bol­let­ta. Pro­mo­zio­ne di comu­ni­tà e coo­pe­ra­ti­ve energetiche;
  2. La gran­de fore­sta, per assor­bi­re co2 e met­te­re in sicu­rez­za il nostro suo­lo e le nostre comunità;
  3. Uni­ver­si­tà e ricer­ca pub­bli­ca, per diven­ta­re il Pae­se verde;
  4. Mobi­li­tà elet­tri­ca, crea­zio­ne di reti urba­ne indi­riz­za­te al tra­spor­to mul­ti­mo­da­le (tre­no, bus, bici­clet­ta), tra­spor­to inte­gra­to con il glo­bal pass alla tedesca;
  5. Tute­la del­le risor­se natu­ra­li, dell’acqua e del suo­lo, per­ché si smet­ta di sfrut­ta­re la Ter­ra. Eco­no­mia cir­co­la­re e rac­col­ta dif­fe­ren­zia­ta in tut­to il Paese.

In que­sto qua­dro, appa­re non più riman­da­bi­le un’azione di gover­no vol­ta alla redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za, al fine di soste­ne­re lo sfor­zo pub­bli­co per avvia­re la tran­si­zio­ne verde.

A livel­lo euro­peo occor­re defi­ni­re una poli­ti­ca fisca­le comu­ne basa­ta su quat­tro impo­ste (tra cui la
car­bon tax) sup­ple­men­ta­ri e com­ple­men­ta­ri alle omo­lo­ghe nazio­na­li per soste­ne­re il pia­no del­la tran­si­zio­ne all’economia ver­de del siste­ma pro­dut­ti­vo ed eli­mi­na­re il diva­rio già esi­sten­te nei siste­mi fisca­li nazio­na­li alla base di una illo­gi­ca com­pe­ti­zio­ne tra i Pae­si membri.

Per la fisca­li­tà nazio­na­le pre­ve­dia­mo di rea­liz­za­re cin­que pun­ti, ovvero:

  1. Una mag­gio­re pro­gres­si­vi­tà dell’imposta sui redditi;
  2. Una redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za tra­mi­te ade­gua­ta tas­sa­zio­ne dei patrimoni;
  3. Met­ter fine al regi­me di favo­re tut­to­ra in esse­re per le impre­se multinazionali;
  4. Rea­liz­za­re il prin­ci­pio “chi inqui­na paga”;
  5. Uti­liz­za­re il fisco elet­tro­ni­co per com­bat­te­re e ridur­re l’evasione fisca­le e contributiva.

Gli incre­men­ti di get­ti­to sono tut­ti desti­na­ti al Fon­do per la tran­si­zio­ne ener­ge­ti­ca e a misu­re di redi­stri­bu­zio­ne e stru­men­ti di inclu­sio­ne come il sala­rio mini­mo e il red­di­to mini­mo garan­ti­to. Quest’ultimo andreb­be rica­va­to rifor­man­do l’attuale red­di­to di cit­ta­di­nan­za in cin­que mos­se: i) ridur­re a cin­que anni il requi­si­to del­la cit­ta­di­nan­za ita­lia­na, di cui solo l’ultimo di resi­den­za con­ti­nua­ti­va; ii) poten­zia­re i ser­vi­zi socia­li comu­na­li per affron­ta­re la pover­tà in tut­te le sue dimen­sio­ni, non solo quel­la eco­no­mi­ca; iii) inse­ri­re un cri­te­rio di pro­gres­si­vi­tà in base alla com­po­si­zio­ne nume­ri­ca del nucleo fami­lia­re per il soste­gno ai costi dell’abitare; iv) ridur­re il disin­cen­ti­vo al lavo­ro por­tan­do al 60 per cen­to la quo­ta di ridu­zio­ne dell’assegno fino a che non sia rag­giun­to il red­di­to esen­te da impo­si­zio­ne fisca­le (cir­ca 8mila euro per i lavo­ra­to­ri subor­di­na­ti; v) eli­mi­na­re le seve­re dispo­si­zio­ni che, ai fini del­la con­grui­tà dell’offerta lavo­ra­ti­va, fis­sa­no, dopo la pri­ma offer­ta, il distan­zia­men­to del luo­go di lavo­ro entro 250 chi­lo­me­tri dal luo­go di residenza.

Lo scri­via­mo a chia­re let­te­re: o si rifor­ma il set­to­re di pro­du­zio­ne dell’energia elet­tri­ca, rag­giun­gen­do la com­ple­ta decar­bo­niz­za­zio­ne entro pochi anni, oppu­re saran­no guai.

Il Pia­no euro­peo “Fit for 55” chie­de di ridur­re le emis­sio­ni net­te di gas a effet­to ser­ra di alme­no il 55 per cen­to entro il 2030. In par­ti­co­la­re, il con­su­mo di ener­gia tota­le, a oggi respon­sa­bi­le del 75 per cen­to di tali emis­sio­ni, dovrà rag­giun­ge­re la quo­ta del 40 per cen­to di ener­gia rin­no­va­bi­le, men­tre il solo set­to­re di pro­du­zio­ne dell’elettricità dovrà toc­ca­re il 70 per cen­to di quo­ta rinnovabile.

L’attuale ver­sio­ne del pniec (Pia­no Nazio­na­le Inte­gra­to per l’Energia e il Cli­ma 2030, non anco­ra aggior­na­to agli obiet­ti­vi pro­po­sti dall’Unione euro­pea) pre­ve­de inve­ce di rag­giun­ge­re entro il 2030: i) Il 30 per cen­to di quo­ta fer (Fon­ti di Ener­gia Rin­no­va­bi­le) nel con­su­mo fina­le lor­do di ener­gia (il 22 per cen­to di fer nel con­su­mo fina­le lor­do di ener­gia nel set­to­re dei tra­spor­ti) e il 55 per cen­to di quo­ta fer nel­la pro­du­zio­ne di ener­gia elet­tri­ca; ii) Il 33 per cen­to di ridu­zio­ne del­le emis­sio­ni cli­mal­te­ran­ti per i set­to­ri non ets (tra­spor­ti, resi­den­zia­le, ter­zia­rio, indu­stria non inclu­sa nel set­to­re ets, agri­col­tu­ra e rifiu­ti) entro il 2030, rispet­to ai livel­li del 2005; iii) Ridu­zio­ne del 43 per cen­to del con­su­mo di ener­gia pri­ma­ria e del 39,7 per cen­to del con­su­mo di ener­gia fina­le, rispet­to allo sce­na­rio di rife­ri­men­to anno 2007 [al 2050 si pre­ve­de: i) 85–90 per cen­to di quo­ta fer (fon­ti di ener­gia rin­no­va­bi­le) nel con­su­mo fina­le lor­do di ener­gia; ii) 84–87 per cen­to di ridu­zio­ne del­le emis­sio­ni cli­mal­te­ran­ti da set­to­ri non ets; iii) ridu­zio­ne del 49 per cen­to del con­su­mo di ener­gia primaria].

Scri­ve Enel nel docu­men­to «Net Zero Eco­no­my 2050. Decar­bo­ni­za­tion Road Map for Euro­pe: focus on Ita­ly and Spain», pre­sen­ta­to al Forum Ambro­set­ti nel set­tem­bre 2022:

Il ruo­lo fon­da­men­ta­le svol­to dal siste­ma elet­tri­co nazio­na­le dipen­de da tre condizioni:

-  Un aumen­to del­la pro­du­zio­ne elet­tri­ca nazio­na­le e la sua com­ple­ta decar­bo­niz­za­zio­ne, rea­liz­za­bi­le attra­ver­so un aumen­to di die­ci vol­te del­la capa­ci­tà di ener­gia sola­re foto­vol­tai­ca instal­la­ta tra il 2020 e il 2050 (che nel 2020 ha gene­ra­to 24.942 GWh) e una capa­ci­tà eoli­ca instal­la­ta aggiun­ti­va di 40/50 GW nel­lo stes­so arco temporale.

-  La capa­ci­tà di gesti­re un’enorme quan­ti­tà di fer varia­bi­li e la neces­sa­ria fles­si­bi­li­tà del­la rete (ad esem­pio, attra­ver­so la crea­zio­ne di siste­mi di accu­mu­lo distri­bui­ti su tut­ta la rete, in dell’ordine di 30/40 GW e un’energia tota­le accu­mu­la­ta di 70/100 TWh).

-  Lo svi­lup­po dell’infrastruttura di rete.

Que­sto per­cor­so dovreb­be pre­ve­de­re inve­sti­men­ti com­ples­si­vi per 214 miliar­di di euro nel perio­do 2022–2050, così sud­di­vi­si: 52 miliar­di nel perio­do 2022–2030; 97 miliar­di nel perio­do 2031–2040; 65 miliar­di tra il 2041 e il 2050. Nel perio­do più gra­vo­so, quin­di, è pre­vi­sta una spe­sa annua per inve­sti­men­to di meno di un pun­to per­cen­tua­le di pil (cir­ca 9,7 miliardi).

Dob­bia­mo acce­le­ra­re con le con­ces­sio­ni di nuo­vi impian­ti di ener­gia rin­no­va­bi­le. Dob­bia­mo cor­re­re. Al ter­mi­ne del ter­zo tri­me­stre del 2022 si regi­stra un tota­le cumu­la­to di 1,989 giga­watt di nuo­va poten­za instal­la­ta (+146 per cen­to rispet­to allo stes­so perio­do del 2021), così sud­di­vi­so: 1,572 giga­watt per foto­vol­tai­co (+159 per cen­to), 0,381 giga­watt per eoli­co (+112 per cen­to) e 0,037 giga­watt per idroe­let­tri­co (+66 per cen­to). Trop­po poco, pos­sia­mo fare di più. Pos­sia­mo fare ciò che è richie­sto dall’Unione euro­pea, un obiet­ti­vo insie­me di indi­pen­den­za dal gas rus­so e di decar­bo­niz­za­zio­ne dell’economia. Si trat­ta di met­te­re a ter­ra 85 giga­watt di fer al 2030. Non è impos­si­bi­le, se pen­sia­mo che le richie­ste di con­nes­sio­ne alla rete di nuo­vi impian­ti di pro­du­zio­ne di ener­gia da fon­ti rin­no­va­bi­li sono esplo­se tra la fine del 2020 e i pri­mi mesi del 2022. Sono i dati di Ter­na a for­nir­ci la misu­ra esat­ta dell’appetibilità degli inve­sti­men­ti in fer: se alla fine del 2020 le istan­ze al gesto­re del­la rete ammon­ta­va­no a 95 giga­watt, alla fine del 2021 sono sta­ti supe­ra­ti i 200 giga­watt, rag­giun­gen­do la quo­ta di 280 ver­so ago­sto 2022. Dei 95 giga­watt in atte­sa di con­nes­sio­ne a dicem­bre 2020, sap­pia­mo che ben 68 sono sta­ti accet­ta­ti da Ter­na, con inclu­sa la solu­zio­ne di con­nes­sio­ne, una quo­ta qua­si suf­fi­cien­te a ren­der­ci indi­pen­den­ti dal gas rus­so. Occor­re velo­ciz­za­re le pro­ce­du­re, chia­ren­do subi­to qua­li sono le zone entro cui è pos­si­bi­le instal­la­re gli impian­ti. Pre­ve­dia­mo di innal­za­re a 60 kilo­watt la soglia di poten­za – oggi fis­sa­ta a 20 kilo­watt – oltre la qua­le è neces­sa­rio che un impian­to foto­vol­tai­co sia sot­to­po­sto ad Auto­riz­za­zio­ne Unica.

La que­stio­ne del bilan­cia­men­to del­la rete e dell’intermittenza del­le rin­no­va­bi­li può esse­re affron­ta­ta con una logi­ca siste­mi­ca, sta­bi­len­do il giu­sto mix tra le fon­ti e i siste­mi di accu­mu­lo. L’adozione di impian­ti foto­vol­tai­ci PV Uti­li­ty Sca­le (di poten­za supe­rio­re a 100 mega­watt) “fles­si­bi­li”, ossia dota­ti di inver­ter intel­li­gen­ti, per­met­te di modu­la­re la for­ni­tu­ra di ener­gia in base alla poten­za richie­sta attra­ver­so il cur­tail­ment (ossia il ‘taglio’) del­la poten­za gene­ra­ta e l’uso di bat­te­rie accop­pia­te ai pan­nel­li. Perez, Pier­ro et al. (2016) dimo­stra­no come sia pos­si­bi­le garan­ti­re il bilan­cia­men­to neces­sa­rio ad aumen­ta­re la pene­tra­zio­ne di foto­vol­tai­co mini­miz­zan­do costi e impat­ti ambien­ta­li, mas­si­miz­zan­do la poten­za di foto­vol­tai­co instal­la­bi­le anche a costo di sacri­fi­ca­re una quo­ta rile­van­te di ener­gia elet­tri­ca pro­dot­ta ma non uti­liz­za­ta. La ratio di que­sto approc­cio è pro­prio quel­la di garan­ti­re alla rete gli appor­ti in sede di bilan­cia­men­to median­te l’impiego più o meno par­zia­liz­za­to del­la capa­ci­tà in ecces­so di un cer­to nume­ro di impian­ti foto­vol­tai­ci, una sor­ta di riser­va da atti­va­re o disat­ti­va­re quan­do la doman­da di ener­gia dal­la rete lo richie­de. Que­sti impian­ti devo­no esse­re attrez­za­ti con ser­ba­toi di accu­mu­lo, sia­no essi chi­mi­ci o fisi­ci. Le sti­me dei ricer­ca­to­ri indi­ca­no per l’Italia la neces­si­tà di 30 giga­watt di stoc­cag­gio al 2030, con una inci­den­za di sola­re foto­vol­tai­co sul­la doman­da del 53 per cento.

Men­tre scri­via­mo stia­mo attra­ver­san­do anco­ra una fase di atte­sa e tran­si­zio­ne: tut­ti gli ope­ra­to­ri aspet­ta­no il fami­ge­ra­to Decre­to attua­ti­vo, la cui defi­ni­ti­va appro­va­zio­ne è atte­sa da un momen­to all’altro. Il testo dovreb­be spe­ci­fi­ca­re una vol­ta per tut­te come potran­no ope­ra­re le comu­ni­tà ener­ge­ti­che. Il rischio di pren­de­re scel­te che in segui­to si rive­li­no sba­glia­te o addi­rit­tu­ra vie­ta­te è alto. La prio­ri­tà poli­ti­ca è pen­sa­re al ruo­lo del­le comu­ni­tà ener­ge­ti­che nei siste­mi ener­ge­ti­ci del futu­ro, in par­ti­co­la­re dopo que­sta fase incen­ti­van­te. Al momen­to le comu­ni­tà por­ta­no un bene­fi­cio eco­no­mi­co ai mem­bri gra­zie soprat­tut­to all’incentivo sull’energia con­di­vi­sa, ma cosa suc­ce­de­rà dopo? Le cer si pon­go­no come model­lo orga­niz­za­ti­vo mutua­li­sti­co che, se oppor­tu­na­men­te valo­riz­za­to, può esse­re in gra­do da un lato di spez­za­re la dipen­den­za dal pote­re fos­si­le, e dall’altro di costrui­re nuo­vi livel­li di par­te­ci­pa­zio­ne all’interno del­le comunità.

Pre­sen­tia­mo qui di segui­to otto pun­ti per svi­lup­pa­re le comu­ni­tà ener­ge­ti­che rin­no­va­bi­li in Italia:

  1. Nes­su­na pre­clu­sio­ne: l’unico sbar­ra­men­to nell’accesso alle cer è di tipo tec­ni­co e cor­ri­spon­de alla con­nes­sio­ne in cabi­na pri­ma­ria, che deve esse­re con­di­vi­sa da tut­ti i pro­po­nen­ti (que­sta infor­ma­zio­ne vie­ne for­ni­ta dal distri­bu­to­re com­pe­ten­te in segui­to al rice­vi­men­to dell’istanza for­ma­le da par­te degli inte­res­sa­ti). La for­ma orga­niz­za­ti­va non può esse­re impie­ga­ta come mez­zo per esclu­de­re uten­ti del­la rete e per­so­ne abi­tan­ti nel­la stes­sa comu­ni­tà geo­gra­fi­ca. Alle cer pos­so­no par­te­ci­pa­re anche le per­so­ne giu­ri­di­che (impre­se, asso­cia­zio­ni eccetera).
  2. Prin­ci­pio del­la mutua­li­tà: l’obiettivo del­la cer è il rag­giun­gi­men­to di uno sco­po comu­ne, ossia pro­dur­re ener­gia elet­tri­ca rin­no­va­bi­le a bas­so costo, nel rispet­to dell’ambiente e per con­tri­bui­re al rag­giun­gi­men­to del­la com­ple­ta decar­bo­niz­za­zio­ne del set­to­re elettrico;
  3. La for­ma orga­niz­za­ti­va potreb­be esse­re la più sem­pli­ce, ossia quel­la del­le asso­cia­zio­ni cosid­det­te “non rico­no­sciu­te”, oppu­re – come già ricor­da­to – le coo­pe­ra­ti­ve a mutua­li­tà pre­va­len­te. Nel pri­mo caso, gli adem­pi­men­ti sono mino­ri e l’organizzazione è più snel­la; nel secon­do, vi è mag­gio­re sicu­rez­za cir­ca la fina­li­tà mutua­li­sti­ca. Lo sta­tu­to può limi­tar­si a indi­vi­dua­re gli orga­ni fon­da­men­ta­li per il fun­zio­na­men­to del­la cer: l’assemblea dei soci, il diret­ti­vo, l’organo di con­trol­lo. Il Gesto­re dei ser­vi­zi ener­ge­ti­ci è tenu­to a veri­fi­ca­re che lo sta­tu­to garan­ti­sca bene­fi­ci ambien­ta­li, socia­li ed economici.
  4. L’impianto o gli impian­ti di pro­du­zio­ne: come reci­ta il testo di leg­ge[1], «ai fini dell’energia con­di­vi­sa rile­va solo la pro­du­zio­ne di ener­gia rin­no­va­bi­le degli impian­ti che risul­ta­no nel­la dispo­ni­bi­li­tà e sot­to il con­trol­lo del­la comu­ni­tà». Gli impian­ti neces­si­ta­no di esse­re dimen­sio­na­ti sul­la base del fab­bi­so­gno sti­ma­to del­la comu­ni­tà. Non neces­sa­ria­men­te però l’impianto deve esse­re di pro­prie­tà del­la comu­ni­tà stes­sa, può esse­re anche in capo a sog­get­ti ter­zi. Gli ade­ren­ti alla comu­ni­tà che sono in pos­ses­so di un impian­to, già in fun­zio­ne al momen­to del­la costi­tu­zio­ne del­la cer, pos­so­no con­di­vi­de­re il sur­plus di pro­du­zio­ne con il resto dei par­te­ci­pan­ti. Pos­so­no altre­sì met­te­re in comu­ne il loro impian­to ma, se incen­ti­va­to, devo­no rinun­cia­re agli incen­ti­vi e anche allo “scam­bio sul posto”.
  5. Sareb­be oppor­tu­no che alle cer sia richie­sto di fare un inven­ta­rio det­ta­glia­to degli impian­ti sot­to­stan­ti le comu­ni­tà mede­si­me e il moni­to­rag­gio dei con­su­mi. Al momen­to in cui si scri­ve, la cer deve comu­ni­ca­re al gse tut­ti gli impian­ti facen­ti par­te del­la con­fi­gu­ra­zio­ne al fine di richie­de­re l’incentivo: que­ste infor­ma­zio­ni, una vol­ta avvia­ti gli impian­ti, potreb­be­ro esse­re inte­gra­te per la par­te di ana­li­si dei consumi.
  6. Il finan­zia­men­to: al momen­to in cui si scri­ve, le cer pos­so­no acce­de­re alle detra­zio­ni fisca­li del 50 per cen­to sugli impian­ti fer e – fino a 20 kilo­watt – al Super­bo­nus 90 per cen­to. Altre moda­li­tà di finan­zia­men­to pos­so­no esse­re le con­ven­zio­ni con Comu­ni, altri enti ter­ri­to­ria­li o altri sog­get­ti pri­va­ti. È sem­pre pos­si­bi­le il per­cor­so dell’autofinanziamento tra­mi­te rac­col­ta di fon­ti tra i soci, anche se la par­te­ci­pa­zio­ne alla quo­ta non può esse­re una pre­clu­sio­ne all’accesso. Il pnrr desti­na 2,2 miliar­di di euro di aiu­ti alle nuo­ve comu­ni­tà ener­ge­ti­che rin­no­va­bi­li che sor­ga­no in comu­ni infe­rio­ri a 5mila abitanti.
  7. Gli incen­ti­vi: il Decre­to Incen­ti­vi – in attua­zio­ne dell’art. 8 D. Lgs. 199/2021, in cor­so di appro­va­zio­ne da par­te del Mini­ste­ro dell’Ambiente e del­la Sicu­rez­za ener­ge­ti­ca – sta­bi­li­sce che le cer han­no dirit­to all’incentivo di 110 euro/megawattora di ener­gia con­di­vi­sa e con­su­ma­ta per 20 anni (100 euro/megawattora per i grup­pi di auto­con­su­mo col­let­ti­vo), men­tre per l’eventuale ecce­den­za di ener­gia il gse rico­no­sce il valo­re di mer­ca­to, sal­vo che la quo­ta di ener­gia con­di­vi­sa sia infe­rio­re al 70 per cen­to, nel qual caso si appli­ca il tet­to di 80 euro/megawattora. Per l’energia auto-con­su­ma­ta, la cer ha dirit­to anche a un risto­ro pari a 9 euro/megawattora, visto che essa non impie­ga le reti di tra­spor­to. Il cri­te­rio di ripar­to dei risto­ri è deci­so auto­no­ma­men­te dal­le sin­go­le comu­ni­tà. Atten­zio­ne: pos­so­no gode­re degli incen­ti­vi sta­bi­li­ti dal decre­to solo gli impian­ti che entra­no in eser­ci­zio suc­ces­si­va­men­te alla data del decre­to, nel limi­te di poten­za di 1 mega­watt (fa fede l’avvio dei lavo­ri). Gli impian­ti pre­e­si­sten­ti, o la cui costru­zio­ne è sta­ta avvia­ta pri­ma del­la data di pub­bli­ca­zio­ne del decre­to, non han­no acces­so agli incen­ti­vi se non per la quo­ta del 30 per cen­to del­la nuo­va produzione.
  8. Il ruo­lo degli Enti loca­li: le isti­tu­zio­ni potreb­be­ro favo­ri­re que­sti per­cor­si pro­po­nen­do­si come fau­tri­ci del­la decen­tra­liz­za­zio­ne ener­ge­ti­ca a par­ti­re dal­la mes­sa a dispo­si­zio­ne dei tet­ti degli edi­fi­ci pub­bli­ci per instal­la­zio­ni di impian­ti fer in regi­me di comu­ni­tà ener­ge­ti­ca, in modo da sod­di­sfa­re sia il fab­bi­so­gno dell’ente pub­bli­co, sia quel­lo del­le abi­ta­zio­ni di pros­si­mi­tà, favo­ren­do dap­pri­ma l’accesso alle fami­glie in dif­fi­col­tà eco­no­mi­ca. Affran­car­si il più pos­si­bi­le dal­le fon­ti fos­si­li non può esse­re una pre­ro­ga­ti­va dei più abbien­ti: si può supe­ra­re la cri­si cli­ma­ti­ca (e quel­la ener­ge­ti­ca, che è espres­sa deri­va­zio­ne essen­do l’intersezione del­le dina­mi­che del pote­re fos­si­le) tenen­do tut­ti insieme.
  9. Il col­lo di bot­ti­glia: al momen­to ogni sin­go­lo impian­to non può supe­ra­re cia­scu­no la poten­za di 1 mega­watt. Que­sto costi­tui­sce un vin­co­lo trop­po strin­gen­te per l’affermazione del­le cer in ambi­to industriale.

[1]  Cfr. Art. 31 c. 2 lett. a) Decre­to Legi­sla­ti­vo 8 novem­bre 2021, n. 199 Attua­zio­ne del­la diret­ti­va (ue) 2018/2001 del Par­la­men­to euro­peo e del Con­si­glio dell’11 dicem­bre 2018, sul­la pro­mo­zio­ne dell’uso dell’energia da fon­ti rinnovabili.

Gli obiet­ti­vi sta­bi­li­ti nel­la sen (Stra­te­gia Ener­ge­ti­ca Nazio­na­le) vol­go­no alla ridu­zio­ne del 43 per cen­to del con­su­mo di ener­gia pri­ma­ria rispet­to all’anno base 2007, ma l’adeguamento degli obiet­ti­vi in sede euro­pea impo­ne di fare meglio e di arri­va­re al 45 per cento.

La pri­ma gran­de cen­tra­le elet­tri­ca rin­no­va­bi­le che pos­sia­mo costrui­re sin da ora è il rispar­mio, attua­bi­le attra­ver­so una mag­gio­re effi­cien­za del­le infra­strut­tu­re. Gra­zie ai miglio­ra­men­ti tec­no­lo­gi­ci, pos­sia­mo pro­dur­re più ener­gia elet­tri­ca con meno risor­se e con­su­mar­ne di meno otte­nen­do il mede­si­mo bene­fi­cio (calo­re, illuminazione).

L’obiettivo prin­ci­pa­le di que­sta azio­ne deve esse­re quel­lo di per­de­re meno ener­gia pos­si­bi­le, meno calo­re pos­si­bi­le, meno fred­do pos­si­bi­le, meno acqua possibile.

In Ita­lia è sta­to isti­tui­to pres­so il Mini­ste­ro del­lo Svi­lup­po eco­no­mi­co (art. 15, com­ma 1 del Decre­to Legi­sla­ti­vo 4 luglio 2014, n. 102 e Decre­to Inter­mi­ni­ste­ria­le 22 dicem­bre 2017) il Fon­do Nazio­na­le per l’efficienza ener­ge­ti­ca. Il suo sco­po è quel­lo di favo­ri­re gli inter­ven­ti di effi­cien­za ener­ge­ti­ca rea­liz­za­ti dal­le impre­se, dal­le esco e dal­la pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne, su immo­bi­li, impian­ti e pro­ces­si pro­dut­ti­vi. Le risor­se finan­zia­rie stan­zia­te per l’incentivo ammon­ta­no a cir­ca 310 milio­ni di euro. Il fon­do deve esse­re poten­zia­to e indi­riz­za­to a inve­sti­men­ti su effi­cien­za degli edi­fi­ci e per l’installazione di impian­ti che non pre­ve­do­no l’uso di com­bu­sti­bi­li fos­si­li, sia gas natu­ra­le che deri­va­ti dal petrolio.

L’obiettivo pri­ma­rio è quel­lo di rag­giun­ge­re la quo­ta del 47 per cen­to di rispar­mio rispet­to all’anno base 2007, men­tre sul con­su­mo annuo di ener­gia elet­tri­ca del­la pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne, che attual­men­te si atte­sta a 6 terawattora/anno, biso­gna appor­ta­re ridu­zio­ni del 10 per cen­to ogni anno per cin­que anni. La dota­zio­ne del Fon­do Nazio­na­le per l’efficienza ener­ge­ti­ca deve esse­re tri­pli­ca­ta e por­ta­ta ad alme­no 1 miliar­do di euro l’anno. L’insieme dei bonus ener­ge­ti­ci deve esse­re rifor­ma­to nel sen­so di una gra­dua­li­tà in rela­zio­ne al red­di­to indi­vi­dua­le dei beneficiari.

Il patri­mo­nio fore­sta­le è cru­cia­le nel­la stra­da per l’abbattimento del­le emis­sio­ni di ani­dri­de carbonica.

Le fore­ste del Pae­se sono un bene comu­ne inso­sti­tui­bi­le e un patri­mo­nio da tute­la­re e amplia­re. Sono un valo­re in sé.

Occor­re abbat­te­re la con­trap­po­si­zio­ne foreste/agricoltura e sigil­la­re una nuo­va allean­za con i custo­di del ter­ri­to­rio: fare in modo che gli agri­col­to­ri tor­ni­no a esse­re allea­ti e guar­dia­ni degli ambien­ti natu­ra­li e non veda­no que­sti come osta­co­lo alla loro pro­dut­ti­vi­tà. La pri­ma cau­sa di per­di­ta di bio­di­ver­si­tà ed estin­zio­ne del­le spe­cie è la per­di­ta di habitat.

Pian­tia­mo albe­ri, quin­di: alme­no tren­ta milio­ni all’anno (per un costo sti­ma­to di sei­cen­to milioni).

Secon­do Istat, la super­fi­cie tota­le del­le aree indu­stria­li dismes­se in Ita­lia equi­va­le a 9mila chi­lo­me­tri qua­dra­ti: con la boni­fi­ca di un ter­zo di que­ste aree met­ten­do a dimo­ra 270 milio­ni di albe­ri, pre­ser­van­do­li nel tem­po, riu­sci­rem­mo a eli­mi­na­re 5,4 milio­ni di ton­nel­la­te di co2 ogni anno (l’equivalente di quan­to emes­so nel mede­si­mo perio­do da cir­ca 980mila cit­ta­di­ni ita­lia­ni). È neces­sa­rio un pia­no per ricon­ver­ti­re le aree indu­stria­li e agri­co­le dismes­se in fore­ste per resti­tui­re alla natu­ra ciò che le è sta­to tolto.

Nei cen­tri urba­ni, asfal­to e cemen­to sono cata­liz­za­to­ri di calo­re. Devo­no esse­re sta­bi­li­ti per Regio­ni ed enti loca­li obiet­ti­vi in ter­mi­ni di desea­ling, ossia di ‘desi­gil­la­tu­ra’ del­le aree urba­ne e di inse­ri­men­to – nei con­te­sti più antro­piz­za­ti – di infra­strut­tu­re ver­di qua­li par­chi, albe­ri stra­da­li, giar­di­ni comu­ni­ta­ri, tet­ti ver­di e giar­di­ni ver­ti­ca­li. Un aumen­to del 10 per cen­to del­la coper­tu­ra arbo­rea può abbas­sa­re la tem­pe­ra­tu­ra ambien­ta­le di alme­no 1–1,5 gra­di. Le misu­re pre­vi­ste nel pnrr (Mis­sio­ne 2, Rivo­lu­zio­ne ver­de e Tran­si­zio­ne eco­lo­gi­ca), in par­ti­co­la­re il pia­no per la pian­tu­ma­zio­ne di 1 milio­ne e 650mila pian­te in zone urba­ne ed extraur­ba­ne, devo­no esse­re poten­zia­te. È asso­lu­ta­men­te neces­sa­ria una leg­ge con­tro la capi­toz­za­tu­ra, un siste­ma di pota­tu­ra che pre­ve­de la rimo­zio­ne dei rami supe­rio­ri di un albe­ro e che cau­sa la per­di­ta di qua­si il 100 per cen­to del­le foglie, ossia dell’organo attra­ver­so cui la pian­ta si pro­cu­ra l’energia. La rea­zio­ne di soprav­vi­ven­za è la gem­ma­zio­ne di rami più sot­ti­li e più debo­li e, in gene­ra­le, una ridu­zio­ne del­la super­fi­cie foglia­re, l’esatto con­tra­rio di quel che si dovreb­be pre­fe­ri­re in ambi­to urbano.

Ser­ve inol­tre una leg­ge che capo­vol­ga la tute­la del patri­mo­nio natu­ra­le esi­sten­te (anche e soprat­tut­to quel­lo non pro­tet­to) con­fe­ren­do­gli dirit­ti di sog­get­to giu­ri­di­co. Una leg­ge vol­ta a defi­ni­re una car­ta dei dirit­ti ina­lie­na­bi­li del­la natu­ra e del pae­sag­gio che comin­ci da un raf­for­za­men­to dell’articolo 9, ter­zo capo­ver­so del­la Costi­tu­zio­ne ita­lia­na, in modo da inclu­de­re il dirit­to del­la Natu­ra «al rispet­to inte­gra­le del­la sua esi­sten­za e al man­te­ni­men­to e alla rige­ne­ra­zio­ne dei suoi cicli vita­li, del­le sue strut­tu­re, del­le sue fun­zio­ni e dei suoi pro­ces­si evo­lu­ti­vi» (cfr. art. 71 Costi­tu­zio­ne dell’Ecuador).

In que­sto con­te­sto, uno stru­men­to uti­le al miglio­ra­men­to del­la cura dei boschi e dei ter­ri­to­ri abban­do­na­ti può esse­re il model­lo dell’associazione fon­dia­ria, già adot­ta­to da diver­se regio­ni ita­lia­ne, ma il cui indi­riz­zo può esse­re cor­ret­to nel sen­so del­la dife­sa del­le fore­ste e nel recu­pe­ro dei ter­re­ni mar­gi­na­li abban­do­na­ti. Gli obiet­ti­vi di una even­tua­le rifor­ma dovreb­be­ro esse­re la miti­ga­zio­ne di rischi (incen­dio, idro­geo­lo­gi­co), la crea­zio­ne di filie­re del legno loca­li, l’incremento del­la cat­tu­ra di co2 da par­te di boschi gio­va­ni e pro­dut­ti­vi, la pre­ven­zio­ne dall’errato disbo­sca­men­to, l’incremento dell’attrattività turi­sti­ca lenta.

L’Unione euro­pea ha in pro­gram­ma l’incentivazione di tec­ni­che agri­co­le favo­re­vo­li al seque­stro di co2 dall’atmosfera: la tec­ni­ca pro­po­sta si chia­ma Car­bon Far­ming. La Com­mis­sio­ne ha pro­mos­so uno stu­dio nel qua­le sono dimo­stra­ti i van­tag­gi dell’agricoltura del car­bo­nio. Ma al di là di una gene­ra­le pano­ra­mi­ca sugli inter­ven­ti poten­zia­li e del­la dispo­ni­bi­li­tà di fon­di (i pro­get­ti pos­so­no esse­re finan­zia­ti sia attra­ver­so le dispo­si­zio­ni pre­vi­ste dal­la Poli­ti­ca Agri­co­la Comu­ne che attra­ver­so il pro­gram­ma life e i fon­di fesr), non sono evi­den­ti le diret­ti­ve poli­ti­che che dovreb­be­ro esse­re attua­te a livel­lo nazio­na­le. È neces­sa­ria quan­to­me­no una diret­ti­va euro­pea in mate­ria e la mes­sa a dispo­si­zio­ne di un fon­do in ambi­to di Poli­ti­ca Agri­co­la Comu­ne rivol­to diret­ta­men­te al soste­gno e alla mas­si­ma dif­fu­sio­ne di que­sta tecnica.

Tra le «Linee Gui­da Volon­ta­rie per la Gestio­ne Soste­ni­bi­le del Suo­lo» del­la fao (2017) sono inclu­se la ridu­zio­ne dell’erosione del suo­lo, essen­do que­sta la cau­sa del­la per­di­ta di stra­ti super­fi­cia­li di ter­re­no che con­ten­go­no gran­di quan­ti­tà di nutrien­ti orga­ni­ci e mine­ra­li, e l’ottimizzazione del­la sostan­za orga­ni­ca nel suo­lo, rite­nu­ta stra­te­gi­ca nel­la miti­ga­zio­ne e nell’adattamento ai cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci in quan­to in gra­do di stoc­ca­re nel suo­lo gran­di quan­ti­tà di co2. Pra­ti­che come l’utilizzo di col­tu­re di coper­tu­ra dei suo­li quan­do incol­ti, l’aumento del­la pro­du­zio­ne di bio­mas­se median­te siste­mi irri­gui che mas­si­miz­zi­no l’uso effi­cien­te dell’acqua, l’aumento del­lo stock di mate­ria orga­ni­ca nel suo­lo tra­mi­te la gestio­ne dei resi­dui vege­ta­li e il divie­to del­la loro com­bu­stio­ne, dovreb­be­ro esse­re par­te di una stra­te­gia agri­co­la comu­ne a livel­lo europeo.

La dife­sa del­le fon­ti idri­che è fon­da­men­ta­le. Tut­to il Pae­se è da un lato a rischio idro­geo­lo­gi­co, dall’altro a rischio deser­ti­fi­ca­zio­ne. La stra­te­gia per il cli­ma deve con­te­ne­re azio­ni per ridur­re entram­bi i rischi. Ser­ve una leg­ge per difen­de­re le fon­ti idri­che sot­ter­ra­nee dai rischi di inqui­na­men­to, in par­ti­co­la­re per evi­ta­re inse­dia­men­ti indu­stria­li lad­do­ve esi­sto­no riser­ve idri­che pro­fon­de. In agri­col­tu­ra deve esse­re avvia­to un pia­no per ridur­re lo spre­co di acqua, ridur­re e quin­di annul­la­re l’uso di fer­ti­liz­zan­ti e pesti­ci­di, favo­ren­do le pra­ti­che agri­co­le inno­va­ti­ve in un qua­dro di eco­no­mia cir­co­la­re. Le aree gole­na­li e gli alvei dei fiu­mi devo­no esse­re libe­ra­ti dal­le costru­zio­ni umane.

Ogni anno in Ita­lia ven­go­no pre­le­va­ti dal sot­to­suo­lo 9,5 milio­ni di metri cubi di acqua, 428 litri per abi­tan­te, men­tre ven­go­no con­su­ma­ti 220 litri per abi­tan­te. La disper­sio­ne lun­go la rete si atte­sta al 47,9 per cen­to. Una situa­zio­ne inac­cet­ta­bi­le men­tre il Nord del Pae­se cono­sce una sic­ci­tà sto­ri­ca. Si dovreb­be cor­re­re ai ripa­ri (let­te­ral­men­te) per inci­de­re sul­la mas­sa d’acqua disper­sa. Nel 2016, tut­ti i più gran­di capo­luo­ghi face­va­no regi­stra­re aumen­ti del­la disper­sio­ne dal 5 al 26 per cen­to. Alla luce di que­sti dati, appa­re evi­den­te come l’Italia, a cau­sa del­la man­ca­ta o insuf­fi­cien­te manu­ten­zio­ne e di pia­ni stra­te­gi­ci inap­pli­ca­ti, sia ora in pie­na emer­gen­za. Biso­gna rica­va­re tra le risor­se del pnrr i dena­ri per gli inve­sti­men­ti nel­la manu­ten­zio­ne straor­di­na­ria degli impian­ti idrici.

Le pro­po­ste di Legam­bien­te in mate­ria devo­no esse­re pie­na­men­te soste­nu­te. Ci riferiamo:

  1. Al rece­pi­men­to del­la nuo­va Diret­ti­va (ue) 2020/2184, con­cer­nen­te la qua­li­tà del­le acque desti­na­te al con­su­mo uma­no (che sareb­be dovu­to avve­ni­re entro il 12 gen­na­io 2023[1]);
  2. All’adozione dei Pia­ni di Sicu­rez­za dell’Acqua (wsp) su tut­to il ter­ri­to­rio nazio­na­le com­pre­se veri­fi­che perio­di­che sul­la loro appli­ca­zio­ne da par­te dei gestori;
  3. Alla rego­la­men­ta­zio­ne del pre­lie­vo del­le acque minerali;
  4. Alle boni­fi­che nei sin (Siti Inqui­na­ti), pre­sen­ti nel nostro Pae­se per limi­ta­re la con­ta­mi­na­zio­ne del­le falde.

[1] Al momen­to del­la pub­bli­ca­zio­ne del pre­sen­te volu­me lo sche­ma di decre­to legi­sla­ti­vo del gover­no (cd. Decre­to Acque Pota­bi­li) è sta­to appro­va­to in data 18 gen­na­io 2023 dal­le Com­mis­sio­ni iv, v, x del Sena­to ed è sta­to appro­va­to con osser­va­zio­ni dal­le Com­mis­sio­ne v e xii del­la Came­ra il gior­no successivo.

Il caso pfas coin­vol­ge tut­ta l’asta del Po e in par­ti­co­la­re le pro­vin­ce di Vicen­za (caso Mite­ni) e di Ales­san­dria (caso Sol­vay). Un disa­stro ambien­ta­le di cui si par­la poco e che impo­ne un ripen­sa­men­to dei limi­ti di con­ta­mi­na­zio­ne spe­ci­fi­ca­ti nel­la mede­si­ma Diret­ti­va (ue) 2020/2184, fis­sa­ti in 0,50 microgrammi/litro per i pfas tota­li e 0,10 microgrammi/litro per la som­ma­to­ria di tut­te le sostan­ze per­fluo­roal­chi­li­che pre­sen­ti, ridu­cen­do­li al limi­te di rile­va­bi­li­tà ed esten­den­do­li anche alle altre acque non desti­na­te al con­su­mo uma­no, visto e con­si­de­ra­to l’allarme lan­cia­to lo scor­so 15 giu­gno 2022 dal­la epa, l’Agenzia di Pro­te­zio­ne Ambien­ta­le ame­ri­ca­na, sul­la can­ce­ro­ge­ni­ci­tà di que­ste sostanze.

Da decen­ni il con­su­mo di suo­lo viag­gia a una velo­ci­tà esa­ge­ra­ta. Un rit­mo che, scri­ve Ispra, ha

una serie di effet­ti diret­ti sul ciclo idro­lo­gi­co e indi­ret­ti sul micro­cli­ma pro­du­cen­do un aumen­to del rischio inondazioni. 

Dob­bia­mo ribal­ta­re il para­dig­ma urba­ni­sti­co vigen­te: se le pre­vi­sio­ni di espan­sio­ne con­te­nu­te nei pia­ni urba­ni­sti­ci non sono nep­pu­re avvia­te dopo cin­que anni dal­la loro appro­va­zio­ne, que­ste devo­no deca­de­re. Le stes­se pre­vi­sio­ni di espan­sio­ne devo­no esse­re limi­ta­te al peri­me­tro coin­ci­den­te con il limi­te del­le aree urba­niz­za­te, isti­tuen­do paral­le­la­men­te un limi­te al con­su­mo di suolo.

La que­stio­ne è anche fisca­le. In Ita­lia il peso degli one­ri di urba­niz­za­zio­ne e dei con­tri­bu­ti sul costo di costru­zio­ne è com­pre­so tra il 4 e l’8 per cen­to del prez­zo fini­to al metro qua­dra­to, men­tre nel­le cit­tà tede­sche la quo­ta sale fino al 30 per cen­to, sen­za intac­ca­re pro­por­zio­nal­men­te il prez­zo fina­le dell’immobile. Ne potrem­mo rica­va­re risor­se con le qua­li finan­zia­re ope­re di boni­fi­ca, riqua­li­fi­ca­zio­ne e mes­sa in sicu­rez­za del patri­mo­nio edi­li­zio, di ridu­zio­ne del rischio idro­geo­lo­gi­co e per l’acquisizione e la rea­liz­za­zio­ne di aree ver­di, sem­pre con l’obiettivo di miglio­ra­re la qua­li­tà del­la vita dei cit­ta­di­ni attra­ver­so la rige­ne­ra­zio­ne urbana.

La legi­sla­zio­ne vigen­te pre­ve­de un siste­ma di tas­sa­zio­ne asso­lu­ta­men­te irri­so­rio per i mate­ria­li edi­li estrat­ti dal­le cave. Media­men­te, nel­le cas­se del­le Regio­ni entra­no 40 cen­te­si­mi di euro per metro­cu­bo di sab­bia e ghia­ia estrat­te, men­tre in altri Pae­si si toc­ca­no cifre pari a 3 euro al metro­cu­bo. Gra­zie a que­sto ade­gua­men­to, le Regio­ni incas­se­reb­be­ro oltre 230 milio­ni di euro aggiun­ti­vi rispet­to agli attua­li 36.

L’Agenzia Inter­na­zio­na­le per la Ricer­ca sul Can­cro (iarc), nel 2015, ha clas­si­fi­ca­to il gli­fo­sa­to come «pro­ba­bi­le can­ce­ro­ge­no per l’uomo». Tale sostan­za ha però effet­ti can­ce­ro­ge­ni con­cla­ma­ti sugli altri esse­ri ani­ma­li. Gli Sta­ti mem­bri non si sono accor­da­ti cir­ca il rin­no­vo dell’autorizzazione all’uso del gli­fo­sa­to in agri­col­tu­ra, auto­riz­za­zio­ne che risul­ta­va in sca­den­za il 15 dicem­bre 2022. La Com­mis­sio­ne euro­pea ha rite­nu­to di dover inter­ve­ni­re per rin­no­va­re que­sta auto­riz­za­zio­ne per un altro anno in atte­sa che efsa, l’Autorità Euro­pea per la Sicu­rez­za Ali­men­ta­re, pub­bli­chi il pro­prio pare­re sugli effet­ti del con­tro­ver­so erbi­ci­da, che non sarà dispo­ni­bi­le pri­ma del­la pros­si­ma esta­te. Nel frat­tem­po, sia l’echa (Agen­zia Euro­pea per la Chi­mi­ca) che fda (Food and Drug Admi­ni­stra­tion) han­no declas­si­fi­ca­to la sostan­za nei ter­mi­ni del­la can­ce­ro­ge­ni­ci­tà ver­so l’uomo.

Qual è la posi­zio­ne del gover­no ita­lia­no? In sede di Comi­ta­to per­ma­nen­te su pian­te, ani­ma­li, cibo e man­gi­mi del­la Com­mis­sio­ne euro­pea, l’Italia ha vota­to a favo­re del­la pro­ro­ga, ribal­tan­do la posi­zio­ne con­tra­ria espres­sa nel 2017. In que­ste righe espri­mia­mo tut­to il nostro disap­pun­to: la tran­si­zio­ne ver­so un’agricoltura soste­ni­bi­le deve pas­sa­re attra­ver­so il pro­gres­si­vo abban­do­no di diser­ban­ti e fer­ti­liz­zan­ti chi­mi­ci. Si dovreb­be avan­za­re in sede euro­pea una richie­sta di revi­sio­ne del Rego­la­men­to (ue) 2019/1009 del Par­la­men­to euro­peo e del Con­si­glio del 5 giu­gno 2019, che sta­bi­li­sce nor­me rela­ti­ve alla mes­sa a dispo­si­zio­ne sul mer­ca­to di pro­dot­ti fer­ti­liz­zan­ti dell’ue, nel sen­so di una pro­gres­si­va ridu­zio­ne dell’uso in agri­col­tu­ra, fino al divie­to di impie­go, di con­ci­mi mine­ra­li, ovve­ro di con­ci­mi nei qua­li gli ele­men­ti nutri­ti­vi dichia­ra­ti sono pre­sen­ti sot­to for­ma di com­po­sti mine­ra­li otte­nu­ti median­te estra­zio­ne o pro­ces­si fisi­ci e chi­mi­ci industriali.

Inol­tre, nel­le ope­ra­zio­ni di gestio­ne del­la vege­ta­zio­ne spon­ta­nea, dovreb­be esse­re inse­ri­to il divie­to di effet­tua­re inter­ven­ti di diser­bo chi­mi­co con sostan­ze tos­si­che su fasce di vege­ta­zio­ne erba­cea, arbu­sti­va o arbo­rea poste a distan­za infe­rio­re a due­cen­to metri da stra­de pub­bli­che o pri­va­te, da aree urba­niz­za­te, pub­bli­che o pri­va­te, fos­si, tor­ren­ti, fiumi.

Tut­to ciò che è sfrut­ta­men­to del­la ter­ra, in par­ti­co­la­re le estra­zio­ni di idro­car­bu­ri e acque mine­ra­li, spes­so con­ces­se trop­po facil­men­te e con cor­re­spon­sio­ne di cano­ni sim­bo­li­ci, deve esse­re sog­get­to a limi­ta­zio­ni e a un mag­gior pre­lie­vo fisca­le. In par­ti­co­la­re, devo­no esse­re sospe­se le auto­riz­za­zio­ni per nuo­ve tri­vel­la­zio­ni, sia in mare che in terra.

Dal pun­to di vista fisca­le, si inten­de incre­men­ta­re il pre­lie­vo sul pro­dot­to che il tito­la­re di cia­scu­na con­ces­sio­ne di col­ti­va­zio­ne è tenu­to a ver­sa­re per le pro­du­zio­ni di idro­car­bu­ri liqui­di e gas­so­si otte­nu­te in ter­ra­fer­ma e in mare, ivi com­pre­si i poz­zi che par­to­no dal­la ter­ra­fer­ma, intro­du­cen­do un’aliquota addi­zio­na­le del 5 per cen­to, la qua­le è aumen­ta­ta ogni tre anni del­lo 0,5 per cento.

I cano­ni del­le con­ces­sio­ni per il pre­lie­vo del­le acque mine­ra­li sono trop­po bas­si. Nel 2020 «sono sta­ti emun­ti cir­ca 17,9 miliar­di di litri d’acqua, men­tre i cano­ni cor­ri­spo­sti alle Regio­ni ammon­ta­no a poco meno di 18,8 milio­ni di euro» (cfr. Altre­co­no­mia, n. 244, gen­na­io 2022 su dati par­zia­li rila­scia­ti dal­le regio­ni). In media sono sta­ti ver­sa­ti quin­di 0,001 euro al litro. Un aumen­to gene­ra­liz­za­to dai cano­ni a 0,03 euro per litro, ren­den­do­lo uni­for­me su tut­to il ter­ri­to­rio nazio­na­le tra­mi­te una leg­ge qua­dro che sta­bi­li­sca un obiet­ti­vo di get­ti­to mini­mo, per­met­te­rà di indi­riz­za­re risor­se per le Regio­ni con la fina­li­tà del­la pre­ven­zio­ne del­la sic­ci­tà estre­ma e del rischio idrogeologico.

Il 13 per cen­to del­le azien­de agri­co­le com­mer­cia­li euro­pee, secon­do quan­to ripor­ta­to dal­la Com­mis­sio­ne, è rite­nu­to respon­sa­bi­le del 60 per cen­to del­le emis­sio­ni di ammo­nia­ca e del 43 per cen­to di meta­no pro­dot­te dal bestia­me dell’ue. La zoo­tec­nia indu­stria­le è insie­me pro­dut­tri­ce di emis­sio­ni cli­mal­te­ran­ti e di sof­fe­ren­za per gli ani­ma­li. L’approccio è rivol­to soprat­tut­to a risol­ve­re il pri­mo pun­to, tan­to che la Com­mis­sio­ne è inter­ve­nu­ta nell’aprile 2022 con una pro­po­sta di revi­sio­ne del­la Diret­ti­va 2010/75/UE sul­le emis­sio­ni indu­stria­li (ied), sta­bi­len­do che tut­ti gli alle­va­men­ti di bovi­ni, sui­ni e pol­la­me con oltre 150 uni­tà di bestia­me adul­to (uba) (il limi­te di 150 uba è sta­to tut­ta­via frut­to di un com­pro­mes­so: l’intento ini­zia­le del­la Com­mis­sio­ne era di fis­sa­re il limi­te a 100) rica­da­no nel cam­po di appli­ca­zio­ne del­la diret­ti­va, con l’obiettivo di ridur­re le emis­sio­ni di meta­no di 265mila ton­nel­la­te all’anno e quel­le di ammo­nia­ca di 128mila ton­nel­la­te. Tut­ta­via, in mate­ria di benes­se­re ani­ma­le, gli stan­dard adot­ta­ti – tal­vol­ta anche in spre­gio del­la nor­ma­ti­va vigen­te – non sono più accet­ta­bi­li. Il ruo­lo sino­ra eser­ci­ta­to dall’Autorità Euro­pea per la Sicu­rez­za Ali­men­ta­re (efsa), le cui valu­ta­zio­ni scien­ti­fi­che si pon­go­no come for­ti rac­co­man­da­zio­ni a tut­to il set­to­re ma in quan­to tali riman­go­no spes­so sul­la car­ta, non è inci­si­vo. È urgen­te una for­te azio­ne dell’Unione per riaf­fer­ma­re e aggior­na­re la «Stra­te­gia per il benes­se­re ani­ma­le» basa­ta sul­le cin­que liber­tà, ossia: i) la liber­tà dal­la fame e dal­la sete; ii) la liber­tà dai disa­gi ambien­ta­li; iii) la liber­tà dal dolo­re, dal­le feri­te e dal­le malat­tie; iv) la liber­tà di mani­fe­sta­re com­por­ta­men­ti carat­te­ri­sti­ci del­la spe­cie; v) la liber­tà dal­la pau­ra e dal­lo stress. Gli alle­va­men­ti inten­si­vi a sta­bu­la­zio­ne fis­sa (ossia quel­li in cui gli ani­ma­li sono lega­ti o costret­ti per alme­no 180 gior­ni in un anno) non sono ido­nei a garan­ti­re alme­no tre liber­tà su cin­que. La man­can­za di liber­tà di movi­men­to e di espres­sio­ne dei com­por­ta­men­ti natu­ra­li è con­tra­ria al prin­ci­pio del benes­se­re ani­ma­le e dovreb­be quin­di esse­re vie­ta­ta dal­la nor­ma­ti­va europea.

Pro­du­cia­mo trop­pi rifiu­ti. In par­ti­co­la­re, come è sta­to sot­to­li­nea­to dal­la Com­mis­sio­ne euro­pea in sede di pre­sen­ta­zio­ne del nuo­vo Rego­la­men­to in mate­ria, la pro­du­zio­ne di rifiu­ti di imbal­lag­gio è in cre­sci­ta in tut­ta Euro­pa, una ten­den­za che potreb­be pre­giu­di­ca­re gli obiet­ti­vi del­la ridu­zio­ne di emis­sio­ni cli­mal­te­ran­ti deri­van­ti da que­sto seg­men­to. L’intento del­la Com­mis­sio­ne è quel­lo da un lato di far sì che sul mer­ca­to sia­no immes­si solo imbal­lag­gi riu­ti­liz­za­bi­li e pie­na­men­te rici­cla­bi­li; dall’altro, di ridur­re il volu­me dei rifiu­ti e al con­tem­po di sta­bi­li­re filie­re di rici­clo e di pro­du­zio­ne di mate­ria pri­ma secon­da. L’obiettivo è espres­so nume­ri­ca­men­te con la ridu­zio­ne dei rifiu­ti di imbal­lag­gio del 5 per cen­to entro il 2030, del 10 per cen­to entro il 2035 e del 15 per cen­to entro il 2040 rispet­to ai valo­ri del 2018. In gene­ra­le, però, il vero sfor­zo è diret­to alla com­ple­ta rici­cla­bi­li­tà degli imbal­lag­gi entro il 2030 e al far sì che i nuo­vi imbal­lag­gi sia­no pro­dot­ti sem­pre con una cer­ta quo­ta di mate­ria­le rici­cla­to. Il model­lo sot­to­por­rà tut­to il set­to­re a una pro­fon­da rior­ga­niz­za­zio­ne e a un ripen­sa­men­to del­le solu­zio­ni tec­ni­che e dell’offerta dei pro­dot­ti. Già ora si vedo­no le par­ti inte­res­sa­te – soprat­tut­to le orga­niz­za­zio­ni di cate­go­ria – schie­rar­si al fine di ridur­re gli impat­ti di que­sto rego­la­men­to, un erro­re che il gover­no non dovreb­be per­se­gui­re né soste­ne­re, con­cen­tran­do­si piut­to­sto sugli impat­ti occu­pa­zio­na­li che que­sta tran­si­zio­ne determinerà.

In ogni caso la stra­da è trac­cia­ta. Le quat­tro diret­ti­ve del pac­chet­to “Eco­no­mia cir­co­la­re” (n. 849/2018/UE, 850/2018/UE, 851/2018/UE e 852/2018/UE) dise­gna­no per tut­ti i Pae­si ade­ren­ti que­sto per­cor­so: entro il 2025 biso­gne­rà rici­cla­re alme­no il 55 per cen­to dei rifiu­ti urba­ni pro­dot­ti in un anno (60 per cen­to entro il 2030 e 65 per cen­to entro il 2035) e paral­le­la­men­te ridur­re lo smal­ti­men­to in disca­ri­ca a un mas­si­mo del 10 per cen­to entro il 2035. Seb­be­ne l’Italia non sia tra i Pae­si in ritar­do nel rece­pi­men­to del­le diret­ti­ve, lo sta­to del­la loro attua­zio­ne mate­ria­le è anco­ra in là da veni­re. Con la fine dell’emergenza pan­de­mi­ca è tor­na­ta a cre­sce­re la pro­du­zio­ne di rifiu­ti urba­ni (+2,3 per cen­to nel 2021, pari a 29,6 milio­ni di ton­nel­la­te): se da un lato il 64 per cen­to di que­sti è avvia­to al rici­clo[1], il 19 per cen­to è anco­ra con­fe­ri­to in disca­ri­ca. Le risor­se dovreb­be­ro esse­re desti­na­te in inve­sti­men­ti per il miglio­ra­men­to del­le filie­re del rici­clo, sta­bi­len­do siste­mi di rac­col­ta urba­na ade­gua­ti in tal sen­so, anche divul­gan­do la cul­tu­ra del riu­so e del cor­ret­to con­fe­ri­men­to e rici­clo tra la cit­ta­di­nan­za. Il pnrr in tal sen­so è mol­to debo­le, lad­do­ve pre­ve­de – alla Mis­sio­ne M2C1 – appe­na 1,5 miliar­di di euro per «la rea­liz­za­zio­ne di nuo­vi impian­ti di gestio­ne dei rifiu­ti e l’ammodernamento» di quel­li esi­sten­ti e 600 milio­ni per l’avvio di «pro­get­ti “faro” di eco­no­mia cir­co­la­re», come se l’economia cir­co­la­re fos­se anco­ra qual­co­sa da testa­re. Non v’è più nul­la di spe­ri­men­ta­le in que­sto siste­ma, deve esse­re attua­to e basta.

[1]  Il 64 per cen­to è la quo­ta media rag­giun­ta dal­la rac­col­ta dif­fe­ren­zia­ta. Ter­ri­to­rial­men­te, la situa­zio­ne vede rici­cla­re il 71 per cen­to dei rifiu­ti al Nord, il 60,4 per cen­to al Cen­tro e il 55,7 per cen­to nel Mez­zo­gior­no. Dati ispra, dicem­bre 2022, www.isprambiente.gov.it.

Ogni capo­luo­go e ogni cit­tà metro­po­li­ta­na devo­no pro­get­ta­re una nuo­va mobi­li­tà lun­go tre assi: ciclo­vie, filovie/ferrovie e sili­cio (inte­so anche come uso del­le tec­no­lo­gie infor­ma­ti­che), con l’obiettivo di muo­ve­re velo­ce­men­te e in sicu­rez­za la popo­la­zio­ne cit­ta­di­na, ogni gior­no, e di decar­bo­niz­za­re i tra­spor­ti urba­ni entro die­ci anni.

L’infrastruttura di rica­ri­ca deve esse­re espan­sa in modo mas­sic­cio. Sono neces­sa­ri mag­gio­ri inve­sti­men­ti pub­bli­ci, por­tan­do la dota­zio­ne del pnrr in mate­ria da 741,3 milio­ni ad alme­no 1,5 miliar­di, rea­liz­zan­do entro il 2026 oltre 50mila pun­ti di rica­ri­ca rapi­da in super­stra­de e nei cen­tri urba­ni. Devo­no esse­re ridot­ti gli osta­co­li buro­cra­ti­ci nel­le instal­la­zio­ni dome­sti­che (pre­ser­van­do i requi­si­ti di sicu­rez­za) e deve esse­re intro­dot­ta una quo­ta mini­ma di pun­ti di rica­ri­ca nei parcheggi.

In un qua­dro in cui i ser­vi­zi del­la pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne sono mes­si in rete e il ter­ri­to­rio urba­no è strut­tu­ra­to per acce­de­re alle spe­ci­fi­che fun­zio­ni secon­do il cri­te­rio del­la “cit­tà di quin­di­ci minu­ti”, gli inve­sti­men­ti sono diret­ti mag­gior­men­te ver­so le reti via­rie urba­ne, per il rin­no­vo del tra­spor­to su fer­ro in ogni capo­luo­go i) esten­den­do le reti metro­po­li­ta­ne, tan­to con la costru­zio­ne di nuo­ve linee quan­to con l’ampliamento di quel­le esi­sten­ti; ii) intro­du­cen­do linee tram­via­rie velo­ci e tra­sfor­man­do linee fer­ro­via­rie urba­ne in linee metro­po­li­ta­ne; iii) crean­do le reti cicla­bi­li e inte­gran­do­le agli altri ser­vi­zi di mobi­li­tà; iv) sosti­tuen­do in die­ci anni tut­ti i 36.450 auto­bus a die­sel cir­co­lan­ti (Moto­riz­za­zio­ne civi­le, 30 set­tem­bre 2022) con altret­tan­ti nuo­vi e com­ple­ta­men­te elet­tri­ci in modo da ave­re una flot­ta qua­si total­men­te elet­tri­ca a fine perio­do[1].

Per finan­zia­re tali azio­ni, sono già ope­ra­ti­vi i seguen­ti stru­men­ti: Fon­do euro­peo per gli inve­sti­men­ti stra­te­gi­ci feis; Fon­di strut­tu­ra­li e di inve­sti­men­to euro­pei-fon­di sie; Azio­ni urba­ne inno­va­ti­ve uia; urbact; Hori­zon 2020. Occor­re solo met­te­re in cam­po la capa­ci­tà di pro­get­ta­zio­ne degli interventi.

[1] La spe­sa pre­vi­sta si atte­sta a 1,3 miliardi/anno per die­ci anni. Nel momen­to in cui si scri­ve, le risor­se a dispo­si­zio­ne sono cir­ca la metà del fab­bi­so­gno sti­ma­to per sosti­tui­re tut­to il par­co auto­bus die­sel cir­co­lan­te, ossia sono pari a 6,2 miliar­di così sud­di­vi­si: in ambi­to pnrr, sono sta­ti pre­vi­sti 1,9 miliar­di euro per l’acquisto di auto­bus “ver­di” per il tra­spor­to pub­bli­co loca­le urba­no, men­tre altri 600 milio­ni di euro dal pnc (Pia­no Nazio­na­le Com­ple­men­ta­re) sono sta­ti desti­na­ti all’acquisto di auto­bus eco­lo­gi­ci per i ser­vi­zi subur­ba­ni ed extraur­ba­ni; a que­ste risor­se si aggiun­go­no 3,7 miliar­di di euro fino al 2033 per il rin­no­vo degli auto­bus del tpl nell’ambito dei finan­zia­men­ti del Pia­no stra­te­gi­co nazio­na­le del­la mobi­li­tà sostenibile.

Auto­bus e tre­ni han­no biso­gno di esse­re incen­ti­va­ti, in modo che più per­so­ne cam­bi­no le pro­prie abi­tu­di­ni di spo­sta­men­to. In par­ti­co­la­re, voglia­mo sfrut­ta­re le oppor­tu­ni­tà offer­te dal­la digi­ta­liz­za­zio­ne e col­le­ga­re tut­ti i ser­vi­zi di tra­spor­to pub­bli­co con un’unica smart card o app: il Mobil­Pass ver­de. Met­tia­mo in rete i tra­spor­ti pub­bli­ci tra­di­zio­na­li con nuo­vi ser­vi­zi di mobi­li­tà come la con­di­vi­sio­ne di auto e bici­clet­te. Con il Mobil­Pass ver­de la fat­tu­ra­zio­ne avvie­ne auto­ma­ti­ca­men­te e in modo uni­for­me. Ad accom­pa­gna­re que­sto stru­men­to, occor­re inte­gra­re, lad­do­ve pos­si­bi­le, la bigliet­ta­zio­ne per auto­bus e treno.

Occor­re revi­sio­na­re il siste­ma dei sus­si­di al set­to­re dei tra­spor­ti com­mer­cia­li e marit­ti­mi (si trat­ta di cir­ca 8 miliar­di di euro all’anno), sta­bi­len­do un pia­no per l’uscita dall’uso del gaso­lio entro il 2030 median­te incen­ti­vi alla sosti­tu­zio­ne dei mez­zi pri­va­ti di trasporto.

Per ulti­ma ma per pri­ma, la ricer­ca: asse­gnia­mo l’1 per cen­to del pil alla ricer­ca e all’università. Tut­to ciò che ave­te let­to fino a qui dipen­de pro­prio dal­le scel­te di fon­do e dal­la capa­ci­tà di un Pae­se di inve­sti­re sul­la cono­scen­za. E si par­te dal­la scuo­la: dal­la sua qua­li­tà, dal­le moda­li­tà di reclu­ta­men­to dei docen­ti, dal­la loro retri­bu­zio­ne. E, anco­ra, dal­la sua gra­tui­tà per i più pic­co­li, dal dirit­to allo stu­dio per i più gran­di. Da un siste­ma del­la ricer­ca pub­bli­ca finan­zia­to ade­gua­ta­men­te. E da un siste­ma del­la ricer­ca pri­va­ta soste­nu­to e col­le­ga­to al siste­ma del­le pic­co­le e medie impre­se. Sol­tan­to inve­sten­do nel­la cono­scen­za l’Italia potrà recu­pe­ra­re i pro­pri ritar­di e supe­ra­re le pro­prie incer­tez­ze riguar­do al futuro.