Sfruttamento nella filiera alimentare: la lezione del pesce rosso

Quando si mette qualcosa nel piatto, ci si dovrebbe chiedere quanti trattamenti quel bene abbia subito, quanti chilometri abbia percorso, quanto di ciò che paghiamo servirà per pagare le mani - spesso invisibili - che lo hanno prodotto.

di Enri­co Tricanico

Le recen­ti imma­gi­ni del­le code post-con­fi­na­men­to davan­ti ai fast food e ai nego­zi di mobi­li a buon mer­ca­to sono un otti­mo indi­ca­to­re di quan­to la socie­tà sia assue­fat­ta dal­la neces­si­tà di con­su­ma­re. D’altronde, gli sta­ti nazio­na­li misu­ra­no la pro­pria salu­te sul volu­me dei con­su­mi degli indi­vi­dui, dun­que sti­mo­la­re la pro­pen­sio­ne al con­su­mo risul­ta neces­sa­rio al fine di garan­ti­re la tenu­ta del siste­ma eco­no­mi­co e pro­dut­ti­vo. Ne potreb­be deri­va­re che, quan­to più un sin­go­lo indi­vi­duo con­su­ma, tan­to più egli potrà sen­tir­si par­te inte­gran­te del­la col­let­ti­vi­tà. La pri­ma rifles­sio­ne neces­sa­ria per iden­ti­fi­ca­re le faglie del­la socie­tà in cui vivia­mo è il temi­ne stes­so “con­su­mo”: “con­su­ma­re” in lin­gua ita­lia­na signi­fi­ca cor­ro­de­re con l’uso, logo­ra­re, depe­ri­re un qual­co­sa. Esse­re con­su­ma­to­re è pra­ti­ca­men­te sino­ni­mo di esse­re deva­sta­to­re. Per­tan­to, pro­prio la tra­sfor­ma­zio­ne del “con­su­ma­to­re” in “frui­to­re” è il pri­mo cam­bia­men­to neces­sa­rio per una soste­ni­bi­li­tà pro­dut­ti­va.  La socie­tà del con­su­mo vive gra­zie ad acqui­sti rea­liz­za­ti in manie­ra rei­te­ra­ta ed a rit­mi ele­va­ti, per­ciò tut­to diven­ta fast : fast fashion, fast food, fast desi­gn, in altre paro­le acqui­sta­re tan­to e velo­ce­men­te, piut­to­sto che bene ed a lun­go ter­mi­ne, un pò come il noto para­dos­so del­la cica­la e del­la for­mi­ca. Non solo il con­su­mo, ma anche la pro­du­zio­ne e la tra­sfor­ma­zio­ne dei beni deve avve­ni­re in manie­ra rapi­da, sfrut­tan­do la mano­do­pe­ra e mano­met­ten­do la natu­ra se neces­sa­rio. La com­bi­na­zio­ne dei diver­si ele­men­ti di que­sto siste­ma pro­dut­ti­vo ha gene­ra­to i dan­ni ormai uni­ver­sal­men­te rico­no­sciu­ti all’ambiente, ha svuo­ta­to di inte­res­se le lot­te socia­li e soprat­tut­to met­te a rischio la salu­te degli indi­vi­dui che con­su­ma­no e che pro­du­co­no. Ma cosa ven­do­no i fast food ed i nego­zi a buon mer­ca­to se non la pos­si­bi­li­tà per ogni indi­vi­duo di sot­trar­si dal grup­po di quel­li che Bau­man defi­ni­va “con­su­ma­to­ri difet­to­si”? Die­tro la fal­sa pre­te­sa di demo­cra­tiz­za­re l’accesso a beni o ser­vi­zi, si cela in real­tà un gran­de e peri­co­lo­so com­pro­mes­so vizio­so e al ribas­so. Il sor­ri­so ras­si­cu­ran­te del clo­wn davan­ti al noto fast food sem­bra pro­prio sus­sur­ra­re: “Che biso­gno c’è di per­der tem­po a lot­ta­re per un giu­sto sala­rio se il nostro ham­bur­ger si può ave­re con soli 3.99 €? Si, pote­te per­met­ter­ve­lo anche voi e sare­te pro­prio come quei famo­si ame­ri­ca­ni che segui­te su Insta­gram.” La doman­da è : in real­tà a che prez­zo? Basta­no dav­ve­ro 3.99 €?  E’ suf­fi­cien­te pren­der­si cura di un comu­ne pesce ros­so per capi­re quan­to tem­po biso­gna inve­sti­re nel suo man­te­ni­men­to e quan­te risor­se nutri­ti­ve sia­no neces­sa­rie per far­gli com­pie­re alme­no un anno. Appli­can­do la sem­pli­ce lezio­ne del pesce ros­so agli ani­ma­li d’allevamento, si avrà un’idea di quan­te risor­se e quan­to tem­po di lavo­ro sono teo­ri­ca­men­te neces­sa­ri per man­te­ne­re in vita un sin­go­lo capo di bestia­me fino al gior­no in cui fatal­men­te fini­rà nell’hamburger da 200 gram­mi ven­du­to a 3.99 €. Nean­che le eco­no­mie di sca­la dei gran­di alle­va­men­ti pos­so­no giu­sti­fi­ca­re un tale sot­to­prez­zo. Mede­si­mo discor­so per i pomo­do­ri acqui­sta­ti in pie­no inver­no a soli 0.89 € al chi­lo o per il sanis­si­mo avo­ca­do da 300 gram­mi che arri­va diret­ta­men­te dal Mes­si­co a soli 0.59 € al pez­zo. A pro­po­si­to di con­su­mo, si è sti­ma­to che ogni anno, per sod­di­sfa­re i biso­gni ali­men­ta­ri di un sin­go­lo cit­ta­di­no euro­peo, sono neces­sa­ri cir­ca 4.400 m² di ter­re­no di cui cir­ca 2/3 sono desti­na­ti alla pro­du­zio­ne di soia e mais, col­ti­va­ti con meto­di con­ven­zio­na­li — ovve­ro con l’uso di diser­ban­ti e pesti­ci­di — desti­na­ti al nutri­men­to degli ani­ma­li da alle­va­men­to. Se tut­to il mon­do con­su­mas­se quan­to noi, non baste­reb­be­ro due pia­ne­ti del­le dimen­sio­ni del­la Ter­ra per man­te­ne­re que­sti rit­mi. Tut­ta­via, la soprav­vi­ven­za del siste­ma pro­dut­ti­vo attua­le richie­de che tut­ti con­su­mi­no e che lo fac­cia­no al mas­si­mo del­le pro­prie pos­si­bi­li­tà. Ciò vie­ne reso pos­si­bi­le offren­do ai con­su­ma­to­ri la varian­te eco­no­mi­ca di ogni pro­dot­to, pro­prio in vir­tù del­la demo­cra­tiz­za­zio­ne dei con­su­mi di cui sopra. I pro­dut­to­ri fan­no leva sul con­su­ma­to­re distrat­to e cen­tri­fu­ga­to tra pub­bli­ci­tà, volan­ti­ni, sto­rie di influen­cer, fino al pun­to che  con­su­ma­re diven­ta una vera e pro­pria osses­sio­ne. Il mes­sag­gio è tutt’altro che ras­si­cu­ran­te: poco impor­ta quan­to si ha nel por­ta­fo­gli, ci sarà sem­pre un pro­dot­to alla por­ta­ta del­le pro­prie pos­si­bi­li­tà eco­no­mi­che. In altre paro­le, la socie­tà dei con­su­ma­to­ri tro­ve­rà un modo per far spen­de­re il più pos­si­bi­le anche ai red­di­ti bas­si, anche per spe­se super­flue.  La pro­te­sta, avve­nu­ta ieri, dei lavo­ra­to­ri invi­si­bi­li sfrut­ta­ti ed il con­te­stua­le invi­to a fer­ma­re i car­rel­li è sta­ta lar­ga­men­te igno­ra­ta. Eppu­re essa dovreb­be indur­re gli indi­vi­dui a riflet­te­re su cosa c’è dav­ve­ro den­tro un piat­to di insa­la­ta, ponen­do­si doman­de sul cosa si nascon­de die­tro al ban­co-fri­go del super­mer­ca­to. Quan­do si met­te qual­co­sa nel piat­to, ci si dovreb­be chie­de­re quan­ti trat­ta­men­ti quel bene abbia subi­to, quan­ti chi­lo­me­tri abbia per­cor­so, quan­to di ciò che paghia­mo ser­vi­rà per paga­re le mani — spes­so invi­si­bi­li — che lo han­no pro­dot­to. Il com­por­ta­men­to e le scel­te ali­men­ta­ri di ogni sin­go­lo indi­vi­duo han­no un enor­me impat­to sul­la pro­du­zio­ne. Acqui­sta­re pro­dot­ti loca­li e soste­ni­bi­li è incom­pa­ti­bi­le con le logi­che del­la gran­de distri­bu­zio­ne orga­niz­za­ta, inol­tre, incen­ti­va­re que­sto tipo di ini­zia­ti­ve è un tema assen­te dal dibat­ti­to poli­ti­co. La tra­sfor­ma­zio­ne dei con­su­ma­to­ri distrat­ti in frui­to­ri respon­sa­bi­li è un pro­gres­so neces­sa­rio per la garan­zia dei dirit­ti, per il rispet­to dell’ambiente e per la salu­te degli individui.

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