PERCHÉ IL NUCLEARE NON È UNA SOLUZIONE PER L’ITALIA
il testo è una revisione di Stefano Barazzetta, che ha reso ancora più efficace e completo il nostro documento.
Stefano Barazzetta è Ingegnere Ambientale e ha conseguito un MBA presso POLIMI Graduate School of Management (la Business School del Politecnico di Milano). Ha lavorato nel settore pubblico, nel settore finanziario tradizionale (private equity) e da una decina d’anni si occupa di impact investing (investimenti che coniugano ritorni finanziari con obiettivi sociali o ambientali). Attualmente è consulente indipendente, e collabora principalmente con alcune agenzie delle Nazioni Unite.
Il nucleare non è una soluzione né alla crisi climatica né alla crisi energetica, né nel breve periodo né – con ogni probabilità – nel medio-lungo periodo.
Il nostro scetticismo sul ritorno al nucleare si fonda su alcuni aspetti tecnici, economici, ambientali: definire antiscientifico questo approccio è sbagliato, è un approccio basato sulle più recenti evidenze scientifiche e industriali.
Il nostro è necessariamente e volutamente un approccio basato su tutti gli elementi del contesto, che parte dalle conoscenze scientifiche e tecniche ma non trascura gli altri fondamentali aspetti che concorrono a determinare lo scenario migliore per il futuro di tutte e tutti: in primis tempi e costi delle diverse fonti energetiche.
Non ci vogliamo sostituire alle accademie scientifiche né alle principali istituzioni: studiamo per essere rigorosi, dopodiché la nostra è sempre una scelta politica, razionale e trasparente.
CONTESTI DIVERSI RICHIEDONO SOLUZIONI DIVERSE
La premessa fondamentale nell’analizzare le diverse possibili politiche da adottare in ambito energetico è che contesti diversi richiedono (e permettono) politiche diverse.
Le economie avanzate – delle quali l’Italia fa parte – hanno caratteristiche diverse dalle economie emergenti.
Il nucleare – come vedremo più in dettaglio in seguito – ha sempre richiesto e tuttora richiede un fortissimo ruolo dello Stato sia dal punto di vista della pianificazione e della autorizzazione degli impianti sia dal punto di vista del finanziamento degli impianti stessi.
Non è un caso che il nucleare si sia sviluppato inizialmente in un’epoca e in Paesi nei quali, per motivi diversi, lo Stato aveva un ruolo predominante: in Francia, Unione Sovietica, Giappone, e persino in USA – la patria del capitalismo – il nucleare ha ricevuto un supporto enorme dai Governi, sia per motivi di politica energetica, sia per motivi strategici e militari (Guerra Fredda).
E non è un caso che il Paese al mondo che più ha puntato sul nucleare negli ultimi 15 anni sia la Cina.
NON ABBIAMO TEMPO: CI SERVONO RISPOSTE RAPIDE, E IL NUCLEARE NON LE PUO’ FORNIRE
Il nucleare non può essere una soluzione alla crisi energetica in cui ci troviamo: i tempi di costruzione di un impianto nucleare in Occidente si possono stimare intorno ai 10 anni (come vedremo in realtà il track record più recente è ben peggiore), ai quali vanno aggiunti i tempi relativi a preparazione del quadro normativo, alla selezione dei siti, alla selezione del contractor che costruirà gli impianti.
Si noti che la prima fase è particolarmente complessa – sia legislativamente che politicamente — in un Paese che come il nostro ha detto “No” al nucleare in ben due referendum.
E non siamo noti per essere un paese in cui le grandi opere procedano speditamente.
Anche se l’Italia desse il via a un nuovo piano nucleare domani stesso, con ogni probabilità non vedremmo il primo kWh nucleare prima di 15 anni, o più.
La lentezza di sviluppo del nucleare male si sposa con gli obiettivi europei di decarbonizzazione: con il piano Fitfor55 l’Unione europea ha posto l’obiettivo del taglio del 55% delle emissioni climalteranti entro il 2030, tra otto anni.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario che la produzione di energia elettrica, che è la principale fonte di emissioni in Italia, arrivi al 70% di generazione da fonti a emissioni zero nei prossimi 8 anni, un tempo molto breve che richiede soluzioni rapide.
Puntare sul nucleare per decarbonizzare produzione dell’elettricità significherebbe fallire gli obiettivi del piano europeo. Al contrario, per rientrare sul percorso della decarbonizzazione del settore elettrico a breve e medio termine (oltre a quanto già citato, ossia l’85% di elettricità da fonti a emissioni zero nel 2035, il 100% fra il 2040 e il 2045) significa necessariamente fare affidamento sulle tecnologie rinnovabili, sull’accumulo di energia elettrica e sul miglioramento delle interconnessioni di trasmissione, realizzando tutte quelle opere che sono lo scoglio maggiore per l’utilizzo delle rinnovabili, e che possono essere messe in campo molto più rapidamente e a costi inferiori.
ANCHE PER L’AGENZIA INTERNAZIONALE DELL’ENERGIA IL NUCLEARE AVRA’ UN RUOLO MARGINALE
La IEA – International Energy Agency – ha elaborato con il suo scenario Net Zero 2050 la roadmap “più tecnicamente fattibile, più efficiente dal punto dei vista dei costi, e più accettabile socialmente” per giungere a emissioni nette nulle entro il 2050.
Lo scenario afferma con chiarezza che non abbiamo bisogno di investire in nuovi impianti di estrazione di gas e di petrolio (e nemmeno di carbone), che le rinnovabili potranno coprire il fabbisogno elettrico mondiale al 90%, e che nel 2050 il solare potrà essere la fonte più importante di energia (e non solo di elettricità) a livello globale.
Per poter raggiungere l’obiettivo Net Zero entro il 2050 la produzione di elettricità da fonti fossili dovrà crollare, mentre le rinnovabili faranno la parte del leone, aumentando di otto volte la produzione, andando a raggiungere quasi il 90% della generazione elettrica totale entro il 2050.
Ma cosa prevede lo scenario NZE 2050 per il nucleare?
Ad una prima lettura ci sono buone notizie: il nucleare dovrà raddoppiare la quantità di elettricità prodotta dal 2020 al 2050; ma guardando con più attenzione la situazione appare meno rosea.
Tenendo conto del fatto che la produzione elettrica mondiale triplicherà, questo significa che il nucleare andrà a rivestire un ruolo sempre più marginale in termini relativi, coprendo nel 2050 il fabbisogno elettrico globale per soltanto l’8% (in calo dal 10% attuale).
E questo nonostante il fatto che, per raggiungere questo risultato, si richiede che il ritmo delle nuove installazioni annue passi dalla media annua di 6 GW registrata del decennio 2011–2020 a 24 GW, quadruplicando.
Ma è importante distinguere: secondo IEA la crescita del nucleare avverrà in larghissima parte nei mercati emergenti, mentre la produzione nelle economie avanzate crescerà di pochissimo in termini assoluti, andando a dimezzare il suo contributo (dal 18% del 2020 attuale al 10% nel 2050) in termini relativi. In pratica i nuovi reattori che entreranno in funzione nelle economie avanzate andranno in gran parte a rimpiazzare quelli che inevitabilmente chiuderanno per raggiunti limiti di età.
Questo nel caso migliore: IEA, consapevole della crisi che il nucleare ha attraversato negli ultimi anni in Occidente, ha elaborato un sotto scenario nel quale la produzione di elettricità dall’atomo nel 2050 sarà inferiore del 60% rispetto a quella ipotizzata nello scenario principale, a causa dell’effetto combinato di mancate estensioni degli impianti oggi operativi, dell’assenza di nuovi progetti nelle economie avanzate, e di un ritmo di espansione del settore nelle economie emergenti pari a quello attuale, e quindi inadeguato all’accelerazione richiesta per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni; in questo caso per conseguire l’obiettivo Net Zero 2050 dovremo quindi fare ricorso a un impiego ancora più massiccio delle rinnovabili.
È interessante notare che in termini di costi questo comporterà un aggravio minimo: lo 0,2% delle bollette e lo 0,4% gli investimenti. Considerando che si tratta di proiezioni a 30 anni e quindi soggette a notevole incertezza, la differenza è sostanzialmente nulla.
IL NUCLEARE COSTA MOLTISSIMO E COSTA SEMPRE DI PIU’, E NON È COMPETITIVO
IEA stessa sostiene che il nucleare potrà registrare lo sviluppo sopra menzionato – comunque relativo — solo se l’industria sarà in grado di invertire la tendenza riducendo costi e tempi, e se ci sarà forte supporto, anche finanziario, da parte dei governi.
Il che appare improbabile in tempi nei quali le finanze degli Stati sono sempre più in difficoltà: ma anche così fosse, un altro recente report di IEA conferma che nel 2050 l’elettricità prodotta dal nucleare occidentale costerà da 3 a 4 volte di più di quella prodotta da solare ed eolico.
Ma già oggi il nuovo nucleare non è competitivo né con gas né con rinnovabili: mentre il costo dell’elettricità da rinnovabili è crollato negli ultimi 10 anni di circa il 90% per il solare e 70% per l’eolico, quello dell’elettricità da nucleare è aumentato.
Questo fa sì che ad oggi sia possibile produrre molta più energia a emissioni zero e a basso costo utilizzando rinnovabili invece del nucleare: ed è possibile farlo in tempi più rapidi.
Si pensi che 10 GW di rinnovabili producono circa la stessa elettricità di un reattore nucleare: ma costano molto meno e richiedono molto meno tempo: è possibile installare 10 GW di rinnovabili in un anno (in Italia è già successo), mentre per mettere in rete un nuovo reattore servono circa 15 anni.
È solo prevedendo il migliore degli scenari possibili per il nucleare e il peggiore per le rinnovabili che il primo può risultare la fonte più “economicamente conveniente”: ipotesi forse disonesta e certamente sbagliata.
LA STORIA DEL NUCLEARE CIVILE IN OCCIDENTE NEGLI 20 ANNI È LA STORIA DI UN FALLIMENTO
Negli ultimi 20 anni in Occidente si è dato il via alla costruzione di soli 8 reattori nucleari – 1 in Francia, 1 in Finlandia, 4 in USA e 2 in UK — nessuno dei quali è ancora entrato in funzione a regime.
Dei 4 reattori USA, 2 sono stati cancellati a causa di ritardi ed extra costi che hanno portato nel 2017 alla bancarotta dell’azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghouse, bancarotta che travolse anche il progetto britannico di Moorside, cancellato ancor prima di cominciare.
Gli altri 2, i reattori di Vogtle 3 e 4, procedono con gravi ritardi – i tempi di costruzione sono quasi raddoppiati rispetto alle previsioni e i costi sono saliti da 14 miliardi di dollari a 34 miliardi — tanto da dover ricorrere a oltre 3 miliardi di dollari in extra costi in bolletta che verranno pagati dai cittadini, e tutto questo senza che i reattori abbiano prodotto un solo kWh.
In Europa la situazione è anche peggiore, se possibile.
Gli impianti EPR (tecnologia francese) che avrebbero dovuto rilanciare il nucleare in Occidente si sono rivelati molto problematici e rappresentano oggi un monito a chiunque voglia rilanciare la tecnologia in Europa o negli Stati Uniti: il reattore di Olkiluoto 3 (Finlandia) ha un ritardo di 13 anni sulla tabella di marcia e budget più che triplicato (si prevede entrerà in funzione entro la fine del 2022), Flamanville 3 (Francia) è in condizioni peggiori (costi aumentati di quasi sei volte). Per questo motivo, in Francia la Corte dei Conti si è pronunciata contro gli sprechi del programma EPR.
Si noti che si tratta della stessa tecnologia che avrebbe dovuto essere adottata dall’Italia nel piano nucleare bocciato dal Referendum sul nucleare del 2011: abbiamo scampato un grosso rischio.
Altri due reattori EPR sono in costruzione in UK (Hinkley Point C): sono più recenti ma già scontano sostanziali ritardi ed extra budget (circa +30% costi e +15% tempi). Soprattutto, i due reattori costano già più di Olkiluoto (~8 mil EUR/MW vs 7): la promessa dell’EPR era di 2 mil EUR/MW.
Due reattori EPR sono stati costruiti anche in Cina, a Taishan: anche in questo caso sono stati registrati extra costi e ritardi, certamente meno drammatici di quelli Europei e Americani, ma uno dei due è stato chiuso per oltre un anno a causa di problemi tecnici.
Complessivamente, i 6 reattori in costruzione tra USA ed Europa hanno visto crescere sia costi che tempi di costruzione a dismisura.
Non è quindi un caso che – come ricorda IEA — le economie avanzate abbiano perso la loro leadership tecnologica e di mercato: dei 31 reattori la cui costruzione è iniziata dal 2017, solo 4 non sono di concezione cinese o russa. Anche se volessimo costruire nuovi reattori, chi potrebbe farlo?
Si noti anche che la Francia, leader al mondo nel nucleare – in condizioni normali deriva il 70% della sua elettricità dal nucleare, contro il 30% della Corea del Sud, il 20% di USA e Russia e il 5% della Cina – sta attraversando una grave crisi energetica: oggi (Settembre 2022) circa la metà dei suoi reattori sono offline sia per manutenzione (ordinaria o straordinaria) che per problemi tecnici (corrosione), la produzione da nucleare è ai minimi storici e il Paese da esportatore è diventato importatore di elettricità. E non è stato risparmiato dagli aumenti del prezzo dell’elettricità, tanto che il Governo francese – impiegando ingentissime risorse pubbliche – ha imposto un cap al prezzo delle bollette per le famiglie.
Questo ha portato anche alla decisione di procedere alla completa nazionalizzazione del colosso energetico EDF, il cui bilancio è zavorrato dalle perdite del nucleare
È probabile che molti impianti verranno attivati negli ultimi mesi, ma la crisi attuale sembra un antipasto di quello che succederà nel Paese tra una decina d’anni: la flotta nucleare francese ha circa 37 anni di età media, e quando molti impianti dovranno essere chiusi per raggiunti limiti di età ci sarà ben poco a sostituirli, stante la mancanza di nuovi reattori (solo uno in costruzione, contro i 56 operativi oggi) e le – purtroppo non casuali — lentezze del Paese nello sviluppare le rinnovabili.
I COSTI DEL NUCLEARE SONO A CARICO DELLA COLLETTIVITÀ: I PRIVATI NON VOGLIONO INVESTIRCI
In questo contesto – tempi di costruzione fuori controllo e costi in aumento che rendono la tecnologia sempre meno competitiva – gli investitori privati si tengono ben lontani dal nucleare, ritenuto a ragione troppo incerto e rischioso. Anche la decisione di nazionalizzare EDF da parte del governo francese va in questa direzione.
Si tratta di un grave problema, perché come ricorda IEA nello scenario Net Zero 2050 gli investitori privati dovranno fare la parte del leone nel sostenere la transizione ecologica, coprendo al 70% gli oltre 100,000 miliardi di dollari che sarà necessario investire.
In queste condizioni il nucleare non potrà che fare affidamento su risorse pubbliche, come del resto è sempre accaduto: e questo, nelle condizioni attuali, non potrà che limitarne lo sviluppo.
IL NUCLEARE HA UN’EVOLUZIONE TECNOLOGICA LENTISSIMA
Il nucleare è una tecnologia meravigliosa ma oltremodo complessa: ha tempi di iterazione di circa 20–25 anni, ossia due volte l’arco della vita utile di un impianto (40–50 anni).
Molti impianti di prima generazione sono ancora in funzione, pochissimi di terza generazione sono operativi e la quarta generazione è ancora lontana da uno sviluppo commerciale.
Al contrario, le rinnovabili – in particolare il solare – hanno tempi di iterazione rapidissimi, nell’ordine dei mesi, che consentono un costante miglioramento delle performance e una ottimizzazione dei costi.
Si parla molto del nucleare a fissione “di nuova generazione”, ma siamo ancora ben lontani dal poterlo utilizzare per uso commerciale: una speranza potrebbero essere gli SMRs (Small Modular Reactors): piccoli reattori modulari, con potenza inferiore rispetto a quella dei reattori tradizionali (~300 MW), che nelle intenzioni degli sviluppatori potranno risolvere i problemi di costo e tempistica del nucleare tradizionale. Esistono circa 50 diversi design e alcuni impianti sono in costruzione in Russia e Cina, ma la scala commerciale è ancora lontana e difficilmente sarà raggiunta prima di 10–15 anni. Ci sono poi i “reattori di quarta generazione”, un gruppo di sei diverse tecnologie individuate 20 anni fa dal Generation IV International Forum (Gif): nelle intenzioni dei proponenti questo tipo di reattori dovranno garantire sostenibilità ambientale ed economica, sicurezza e affidabilità, e la riduzione del rischio di proliferazione (il materiale nucleare utilizzato dovrà essere meno adatto per la fabbricazione di armi nucleari). Inoltre, i reattori potranno avere un ciclo chiuso, ossia il combustibile sarà riprocessato, semplificando così il problema della gestione delle scorie.
L’obiettivo iniziale del Forum era che intorno al 2030 i reattori di Gen IV potessero essere disponibili per l’utilizzo commerciale: al momento l’obiettivo appare lontano, con eccezione della Russia e Cina che hanno un paio di reattori attivi, ma si tratta sostanzialmente di prototipi.
Lo stesso Ministro della Transizione Ecologica Cingolani – favorevole allo sviluppo del nucleare – ha definito il nucleare di quarta generazione una “tecnologia non matura”, e che richiederà ancora una decina d’anni di approfondimenti per valutarne la fattibilità.
Per la fusione nucleare invece purtroppo sembra ancora valere il vecchio detto: “nuclear fusion is 30 years away and always will be”: ad oggi sembra esserci accordo sul fatto richiederà ancora qualche decennio per raggiungere la scala commerciale (se ci arriverà, non ci sono certezze in merito). L’iniziativa più celebre nel campo è senz’altro ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) un progetto internazionale finanziato da un consorzio di vari Governi che però al momento non sembra poter produrre risultati per un utilizzo commerciale prima della seconda metà del secolo. Negli ultimi anni sono state lanciate diverse iniziative private nel settore (ex. General Fusion, TAE Technologies, Commonwealth Fusion Systems, Tokamak Energy, First Light Fusion) che hanno fatto promesse alquanto audaci in merito alla possibilità di lancio commerciale di reattori a fusione tra il 2030 e il 2040: ma i risultati raggiunti fino ad ora suggeriscono una certa prudenza, e questi proclami vanno letti anche alla luce del fatto che si tratta di società alla ricerca di investitori.
OGGI ESISTONO ALTERNATIVE MIGLIORI: LE RINNOVABILI
Come già evidenziato, negli ultimi 10 anni le rinnovabili hanno visto i loro costi crollare e loro prestazioni migliorare, e come conferma il report IEA Net Zero 2050 già oggi sono più competitive – senza incentivi – sia del nucleare che delle fonti fossili., e lo saranno ancora di più in futuro.
Questi valor sono in linea con quanto riportato d’affari Lazard, che ogni anno produce uno studio considerato uno dei principali riferimenti del settore.
La classica obiezione a questa analisi di IEA è che questi costi non tengono conto degli accumuli e degli adeguamenti della rete necessari per gestire le rinnovabili. Questo è parzialmente vero se consideriamo solo l’LCOE (Levelized Cost of Electricity) riportato nella precedente tabella, ma ovviamente l’analisi dell’IEA nel suo complesso ne tiene conto, e il risultato finale è quello già menzionato in precedenza: lo scenario “più tecnicamente fattibile, più efficiente dal punto dei vista dei costi, e più accettabile socialmente” per giungere a emissioni nette nulle entro il 2050 è quello che prevede che le rinnovabili potranno coprire il fabbisogno elettrico mondiale al 90% circa.
Del resto anche l’IPCC — Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico – conferma nel suo ultimo report che le rinnovabili sono le fonti con maggior potenziale di riduzione, e a minor costo.
Contrariamente a quanto in molti sostengono, il nucleare non ci aiuterebbe ad alleggerire le bollette: è esattamente l’opposto.
IL NUCLEARE È TECNICAMENTE INADATTO A RIVESTIRE UN RUOLO PRIMARIO IN UN MONDO DOVE LE RINNOVABILI LA FARANNO DA PADRONE
Un’altra obiezione che viene sollevata regolarmente è quella relativo al “carico di base” (baseload in inglese) che le rinnovabili non sarebbero in grado di soddisfare, rendendo quindi necessario un utilizzo anche massiccio del nucleare.
Ma questo è sempre più un “mito” da sfatare: nella rete elettrica di domani, che sarà dominata dalle rinnovabili (e su questo c’è consenso pressoché unanime), “baseload is dead”, come in molti sostengono già da un decennio e come molti dei maggiori esperti, tra cui Mïchael Lïebreïch (fondatore di Bloomberg New Energy Finance, pro-nucleare e conservatore) sostengono anche oggi.
Lo stesso sostiene anche Jesse Jenkins, professore a Princeton e uno dei massimi esperti americani di energia.
Non è un caso quindi che il consenso che un mondo alimentato al 100% da rinnovabili sia possibile è in costante aumento: oramai sono centinaia gli studi che lo confermano.
Il che non vuol dire che sarà facile e/o breve arrivarci, ma che è tecnicamente possibile farlo.
È da notare infine che in una rete dominata dalle rinnovabili il nucleare non potrà avere molto spazio: infatti non è in grado di sostituire la flessibilità fornita dal gas al sistema elettrico.
Sebbene sia in una certa misura modulabile, il nucleare non riesce a seguire velocemente la variazione del carico elettrico, limitando la quota massima di nucleare che un sistema elettrico interconnesso come quello europeo può ospitare convenientemente.
Il nucleare non è quindi la soluzione perfetta che viene dipinta, oltre a non risolvere gli altri problemi ambientali di cui dovremmo occuparci (perdita di biodiversità, consumo di suolo, ecc.).
Le rinnovabili si propongono invece come parte trasversale della soluzione, come chiave di volta per superare il paradigma della nostra ingordigia energetica e il modello di accaparramento delle risorse naturali. Se utilizzate in combinazione con sistemi di accumulo, sono il sistema più economico per bilanciare una rete che non prevede l’uso di combustibili. Tanto più efficiente, in realtà, che anche nei “migliori” studi scientifici in cui il nucleare è proposto come parte del mix energetico il bilanciamento della rete nei momenti di picco della domanda è effettuato tramite impianti di produzione di energia rinnovabile e stoccaggio, perché la scarsa flessibilità dei reattori nucleari non permette una modulazione dell’output energetico, e i costi sono talmente alti che una sovrapproduzione di energia avrebbe costi inaccettabili.
IL NUCLEARE PRODUCE SCORIE, E SMALTIRLE È COMPLESSO E COSTOSISSIMO
Il nucleare ha un costo non dichiarato, ossia la gestione delle scorie nel lungo termine che, seppur ridotte in quantità, devono essere gestite: il combustibile nucleare esausto è normalmente conservato in sicurezza all’interno delle centrali operative, ma si tratta di una soluzione temporanea.
È necessario trovare soluzione di lungo termine, come la individuazione e costruzione di un deposito geologico permanente, che ne permettano lo stoccaggio senza rischi finché la loro radioattività non si sia esaurita.
Purtroppo ad oggi – a decenni dall’entrata in funzione dei primi reattori — non è in funzione al mondo alcun deposito geologico permanente: perché è difficilissimo trovare un sito adatto ed è costosissimo realizzarlo.
La Finlandia sarà il primo paese al mondo a dotarsi di un deposito del genere, al costo di circa 4 miliardi di dollari. In UK — uno dei pochissimi Paesi Occidentali con un programma nucleare — i costi sono invece stimati a circa 10 volte quelli Finlandesi.
Questi costi, come si vede dell’ordine di svariati miliardi di dollari, sono completamente a carico della collettività.
Viceversa, le fonti rinnovabili producono rifiuti che a fine vita possono essere trattati in maniera abbastanza standard e senza particolari accorgimenti di sicurezza, di certo niente di paragonabile a quanto necessario per le scorie prodotte del nucleare : i materiali di cui sono composti gli impianti a fonti rinnovabili possono essere riciclati, e ad oggi esistono tecniche che, per esempio nel caso dei moduli fotovoltaici, consentono di recuperare l’80–90% dei materiali, ma la tecnologia del riciclo punta al 100%.
IL NUCLEARE NON RISOLVE IL PROBLEMA DELLA DIPENDENZA ENERGETICA
Si parla molto della dipendenza energetica che potrebbe essere creata in un mondo alimentato a rinnovabili, dal momento che la maggior parte della produzione è localizzata in Cina.
Ma se da un lato è possibile riportarne una parte significativa in Europa (e in Italia sta già succedendo), la dipendenza dalla Cina per le materie prime è relativa, se si considera che il silicio – ingrediente di base delle celle fotovoltaiche – è uno dei materiali più comuni del mondo e che le famose “terre rare” (in realtà non molto rare nonostante il nome) non sono praticamente utilizzate nel solare e che sono già allo studio soluzioni per ridurre la dipendenza dell’eolico dalle stesse.
Si parla invece molto meno del fatto che l’uranio rischia di diventare una nuova risorsa critica, la cui fornitura è principalmente nelle mani di regimi autoritari
I paesi maggiori produttori di uranio sono Kazakistan, Canada, Australia, Namibia, Niger e Russia.
Ma quello che conta è la capacità di fornire uranio processato, adatto per essere utilizzato nei reattori: e in questo segmento il leader di mercato è la Russia, il cui uranio alimenta anche le centrali USA.
Non è un caso che nelle recenti sanzioni nei confronti della Russia non sia stato incluso l’uranio arricchito.
Nel nostro paese l’uranio non è quasi presente, mentre è presente l’energia solare in grande quantità e per periodi molto lunghi nell’arco dell’anno. E abbiamo sufficiente energia eolica per il giusto bilanciamento tra le fonti rinnovabili.
IL NUCLEARE HA SUPPORTO POPOLARE: FINCHÉ NON SI TRATTA DI SCEGLIER DOVE COSTRUIRE LE CENTRALI
Il nucleare è un investimento a lungo termine i cui rischi sono completamente a carico della società. Per quanto sia importante ribadire che la probabilità di incidenti è molto bassa, la gravità degli impatti sulla popolazione fa sì che la scelta di installare centrali e depositi di scorie debba godere di largo consenso popolare, sia a livello nazionale che nelle comunità direttamente interessate. Quali sono, in Italia, le comunità disposte ad ospitare le centrali? La popolazione generale è convinta di avere nel governo la fiducia necessaria a supportare il nucleare per un secolo? Per la sua stessa natura di investimento a lungo termine, il nucleare è una scelta sensata solo se la popolazione ha fiducia nella sua scelta, e questa è una domanda politica non rinviabile.
IL NUCLEARE COMPORTA RISCHI AMBIENTALI E PER LA SALUTE
Seppur remoto nella probabilità, un incidente nucleare implica la contaminazione per centinaia di anni del territorio adiacente, rendendolo inadatto alla vita umana “per sempre”. In modo simile, il combustibile nucleare esausto viene prodotto in quantità minime rispetto all’energia generata, ma rimane tossico per qualsiasi forma di vita per generazioni. Quindi, per contro, la gravità è massima. Le fonti rinnovabili possono invece integrarsi nell’ambiente circostante e anche l’occupazione di suolo agricolo può essere minimizzato utilizzando nuovi metodi di installazione come il floating PV (il fotovoltaico galleggiante) e l’agri voltaico (che consente l’utilizzo agricolo del terreno circostante). Nel lungo periodo, e con una possibilità reale di arrivare ad un pieno riciclo delle materie prime necessarie, le rinnovabili hanno la possibilità di essere più compatibili con un futuro ad impatto ambientale zero, che va ben al di là del “semplice” abbattimento delle emissioni di anidride carbonica
Si noti anche che se la sicurezza delle nuove centrali può renderci forse ottimisti sulle conseguenze in termini di vittime di un nuovo incidente nucleare, l’incidente di Fukushima, che pure nelle statistiche ufficiali non ha portato a decessi fra i civili, ha costretto il governo ad evacuare un’area di 3.000 km2, e ha causato danni che richiederanno decenni e centinaia di miliardi per essere riparati
INDUSTRIA NUCLEARE CIVILE E MILITARE SONO SEMPRE ANDATE A BRACCETTO
Altro fattore di cui si parla ben poco è lo storico legame tra nucleare civile e nucleare militare.
La maggior parte dei paesi dove il nucleare civile è più sviluppato – USA, Francia, Russia e Cina da soli ospitano più della metà dei reattori attivi al mondo — dispongono anche di armi o sottomarini nucleari, e non è un caso.
Si pensi alla Francia: per decenni la ricerca nei due settori del nucleare è stata strettamente collegata, e finanziata dalle finanze pubbliche. Ed è stato lo stesso Macron a dichiarare che “senza nucleare civile non c’è nucleare militare, e senza nucleare militare non c’è militare civile”.
Si pensi all’UK, dove l’interdipendenza tra nucleare civile e il programma militare di sviluppo dei sottomarini nucleari è oggetto di forti critiche, con il sospetto che il primo sussidi i secondi.
Più in generale, che ci siano sostanziali collegamenti tra i due settori è ben noto.
Ancora una volta, il ruolo dello stato nello sviluppo nucleare emerge in tutta la sua importanza, ma da un’angolazione meno nota.
IL NUCLEARE RISCHIA DI ESSERE UNA COSTOSA DISTRAZIONE
Da quanto esposto, pensiamo che sia chiaro che – al contrario di quanto spesso si tende a far credere – il nucleare molto difficilmente potrà rappresentare una strada davvero percorribile per affrontare e risolvere la crisi climatica e la crisi energetica, quantomeno in economie avanzate come la nostra.
Tempi lunghissimi, costi fuori controllo e una crisi tecnologica e industriale che oramai dura da decenni rendono il nucleare inadatto ad affrontare le sfide che ci troviamo di fronte: questo a meno di svolte tecnologiche davvero rilevanti, che possano portare le nuove tecnologie in corso di sviluppo a risolvere gli annosi problemi da cui il nucleare è oggi afflitto.
Ma fortunatamente disponiamo già oggi di validissime alternative: le energie rinnovabili.
Riteniamo che l’Italia debba puntare con decisione su sole e vento, che possono trasformare come il nostro paese produce e consuma energia, possono portarci a decarbonizzare e hanno la potenzialità di diventare una enorme opportunità industriale per le nostre imprese.
Nucleare: fonti e approfondimenti
In Italia, il dibattito sull’energia nucleare è ciclico, anzi carsico, scompare per lunghi periodi per poi tornare d’attualità — lo dimostrano i due referendum di cui la questione è stata oggetto — e così è successo proprio in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2022.
Possibile ha realizzato questo documento di sintesi della propria posizione, favorevole agli investimenti sulle rinnovabili e scettica nei confronti del ritorno del nostro Paese all’energia nucleare.
Tale documento è frutto di un lavoro di ricerca che tiene conto di posizioni ampiamente rappresentate nel dibattito stesso, e di cui nel tempo hanno dato conto sia istituzioni internazionali e nazionali, sia organi di informazioni che se ne occupano sistematicamente da anni.
Quello che segue è quindi un elenco di fonti diverse, utili a chi vuole approfondire la questione.
Il Decalogo di Energiaperlitalia per le elezioni del 25 settembre 2022 (Energia per l’Italia): “Il gruppo di ricercatori “Energia per l’Italia” si rivolge alle elettrici e agli elettori, chiamati al voto in un momento critico per il futuro del Paese”. (continua a leggere)
Populismo nucleare (di Carlo Gubitosa per Altraeconomia): “La conversione al nucleare è davvero una magica lampada di Aladino, priva di rischi e di incertezze, che può salvare il Pianeta dalla crisi climatica e l’Italia dalla crisi energetica? Da dove arrivano e soprattutto dove ci portano i “proclami atomici” venduti a piene mani nella campagna elettorale per le politiche 2022? L’agile dossier “Populismo nucleare” a cura di Carlo Gubitosa smonta la retorica della panacea, adottando un sano e rigoroso esercizio del dubbio. Non una guida tecnica o un manuale politico ma una raccolta di dati, informazioni ed episodi di cronaca che restituisce parte dei dubbi e degli interrogativi che circondano la complessità legata alla tecnologia nucleare. Conoscenze per non ripetere gli errori del passato e difendersi dalle finte soluzioni populiste sul tema dell’energia, che alimentano la propaganda dei partiti, delle lobby e di qualche anonimo gruppo di “consulenti”. (continua a leggere)
Nucleare, le promesse a vuoto di Salvini e Calenda (di Stefano Barazzetta per Valigia Blu): “I più attivi su questo fronte sono stati Matteo Salvini e soprattutto Carlo Calenda, che sul nucleare ha deciso di impostare gran parte della campagna di Azione sui temi energetici. È interessante perciò analizzare le dichiarazioni dei due leader e i programmi dei rispettivi partiti. Come vedremo, la gran parte degli argomenti portati a sostegno del ritorno del nucleare appare estremamente debole e parziale, quando non del tutto inconsistente”. (continua a leggere)
Il ruolo dell’energia nucleare nella lotta alla crisi climatica (di Emanuela Barbiroglio e Angelo Romano per Valigia Blu): “Qual è il contesto politico ed energetico e quali sono gli attuali consumi e capacità produttive di energia nucleare nel mondo? Cosa sono i reattori di IV generazione e quelli a fusione di cui tanto si sta parlando in queste settimane, quanto costano, quando saranno realizzati, quale sarà l’impatto sull’ambiente e sulla produzione di energia? (…) Proviamo a farlo attraverso l’analisi di rapporti e studi e ascoltando la voce di esperti del settore, rappresentanti di associazioni pro e contro il nucleare ed europarlamentari che stanno seguendo la questione”. (continua a leggere)
Gli esperti bocciano nucleare e gas: «Via dalla tassonomia» (di Claudia Vago per Valori): “La tassonomia delle attività economiche considerate “sostenibili” non deve includere tra le fonti di energia verde il gas naturale e il nucleare. A dirlo è un gruppo di esperti a cui la Commissione europea si è affidata per contribuire a elaborare le regole sugli investimenti sostenibili in un documento visionato dal Financial Times”. (continua a leggere)
Tassonomia, per il parlamento europeo gas e nucleare sono sostenibili (Andrea Barolini per Valori): “Il parlamento si è in effetti espresso in modo contrario anche rispetto all’orientamento delle due commissioni competenti per materia – Affari economici e Ambiente, salute e sicurezza alimentare – che alla metà dello scorso mese di giugno avevano bocciato il progetto di inclusione di gas e nucleare nella tassonomia europea. Ovvero, appunto, nell’elenco delle attività considerate sostenibili dal punto di vista ambientale”. (continua a leggere)
Crisi climatica: lo scontro in Europa su nucleare e gas e i costi ambientali dell’estrazione del litio (di Angelo Romano per Valigia Blu): “«Steffen Hebestreit, portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha ribadito che il governo tedesco ritiene che “la tecnologia nucleare sia pericolosa, che il problema dello smaltimento dei rifiuti sia ancora irrisolto” e respinge “la valutazione [della Commissione] sull’energia nucleare»”. (continua a leggere)
Cosa ha detto davvero l’IEA sul ruolo del nucleare nella transizione energetica (di Stefano Barazzetta per Valori): “Ad una prima lettura, per il nucleare lo scenario NZE 2050 sembra offrire segnali di speranza: secondo lo scenario il nucleare dovrà raddoppiare la quantità di elettricità prodotta da qui al 2050; ma guardando con più attenzione la situazione appare meno rosea. Infatti, tenendo conto del fatto che la produzione elettrica mondiale triplicherà, questo significa che il nucleare andrà a rivestire un ruolo sempre più marginale in termini relativi, coprendo nel 2050 il fabbisogno elettrico globale per meno del 10% (in calo)”. (continua a leggere)
Che gas e nucleare per l’Ue siano sostenibili l’ha deciso la Russia? (Andrea Barolini per Valori): Un rapporto di Greenpeace svela in che modo i colossi russi dell’energia Gazprom, Lukoil e Rosatom siano riusciti ad esercitare enormi pressioni su Bruxelles a tale scopo. L’intensa attività di lobbying ha, d’altra parte, obiettivi finanziari ma anche politici. L’introduzione di gas e nucleare nella tassonomia fa comodo, infatti, soprattutto alla Russia. E concede a Vladimir Putin un potere negoziale molto più elevato nei confronti dell’Ue. Oltre a fornire introiti che potranno essere utilizzati per proseguire la guerra in Ucraina”. (continua a leggere)
Perché il nucleare non tiene il passo della transizione energetica (di Antonio Scalari per Valigia Blu): “Il nucleare ha segnato il passo rispetto allo sviluppo delle energie rinnovabili, diventate sempre più competitive. Il costo dell’elettricità prodotta dall’energia solare ed eolica on-shore è crollato, rispettivamente, del 85% e del 70% nell’ultimo decennio. Il costo dei moduli fotovoltaici si è ridotto del 99% dalla fine degli anni ‘70 ad oggi. Questo non è dovuto a un’ipnosi verde collettiva ma, come spiega uno studio del Massachusset Institute of Technology (MIT), è il risultato delle politiche pubbliche che hanno stimolato il mercato del settore, della ricerca sia pubblica che privata e di quella che viene definita economia di scala, cioè il rapporto tra l’aumento della produzione industriale e la caduta dei costi”. (continua a leggere)
Quando il “sì” al nucleare diventa un “no” alla scienza (di Antonio Scalari per Valigia Blu): “Il sì al nucleare si vanta di essere in accordo con una concezione scientifica e razionale del mondo. In Italia il sì è stato infatti una storica battaglia a difesa della scienza e della tecnologia. Ma se si va più a fondo e si analizzano certi orientamenti di pensiero e tesi che si ritrovano nel campo del sì, si scopre che anche questo è pieno di ideologia. Di un’ideologia che spesso è in contrasto con una visione che riconosca la gravità della crisi climatica e l’urgenza della transizione energetica. E quindi con la scienza stessa”. (continua a leggere)
Anche il nucleare è una fonte di energia intermittente (Andrea Barolini per Valori): “I reattori nucleari, in caso di incidente, possono provocare autentici disastri per l’ambiente, gli ecosistemi, la biodiversità e la salute umana. Per questo sono – giustamente – sottoposti a rigorosi controlli. Ciò in caso di qualsiasi problema di sicurezza, anche solamente potenziale. E malgrado tale attenzione, non è comunque possibile azzerare i rischi, come ammesso dai dirigenti della stessa Autorità per la sicurezza nucleare francese. Le verifiche – altrettanto giustamente – prendono inoltre tempo e non possono lasciare nulla al caso. Il che rende, di fatto, anche il nucleare “intermittente”. Esattamente come l’eolico, che dipende dal vento, e il fotovoltaico, legato all’irraggiamento solare. (continua a leggere)
Sul Deposito Nazionale delle scorie radioattive continuiamo a perdere pericolosamente tempo (di Alessia Melchiorre per Valigia Blu): “Il nostro paese è già in un ritardo pericoloso, di oltre dieci anni, sulla gestione dei rifiuti radioattivi: avremmo dovuto dotarci di un piano nazionale a partire dal 2011 – come richiesto dalla direttiva Euratom – ma l’iter ha subito diversi rinvii per i quali ci siamo invece guadagnati una sentenza di infrazione dalla Corte di Giustizia UE nel 2019”. (continua a leggere)
Decommissioning nucleare: tempi (sempre più) lunghi, costi alle stelle (di Francesco Ferrante per Valori): “Lo smantellamento degli ex siti nucleari italiani ritarda di anno in anno: solo il 25% è realizzato. Intanto, i costi raddoppiano e i tempi si dilatano”. (continua a leggere)
Francia e Germania: le opposte strategie sull’energia che dividono l’Europa (di Elena Comelli per Valigia Blu): “La Francia guida un gruppo di paesi, perlopiù dell’Europa centrale e orientale, che hanno spinto l’Unione Europea a concedere il bollino di “attività economica ecosostenibile” anche all’energia nucleare, malgrado la strenua opposizione di molti paesi membri. Per i politici e gli attivisti tedeschi l’idea che l’energia nucleare sia verde o sostenibile è un anatema, considerando il potenziale di incidenti con conseguenze ambientali catastrofiche e i problemi associati allo stoccaggio a lungo termine delle scorie radioattive, che nemmeno la stessa Francia è ancora riuscita a risolvere. Per non parlare del fatto che le centrali francesi cominciano a mostrare i segni dell’età e hanno sempre più bisogno di fermarsi per lavori di manutenzione, com’è successo nelle ultime settimane con tre dei quattro più grandi reattori, costringendo il paese a incrementare il ricorso al carbone”. (continua a leggere)
Nucleare, l’Agenzia francese per l’ambiente: nuovi reattori costosi e dannosi (di Andrea Barolini per Valori): “La Francia non ha interesse a lanciarsi nella costruzione di nuovi reattori EPR di ultima generazione. Ciò perché, da un lato, investire sulla filiera del nucleare rallenterebbe lo sviluppo delle energie rinnovabili. Dall’altro, perché farebbe aumentare il costo medio di produzione dell’energia elettrica. E dunque anche le bollette pagate dai cittadini. Ad affermarlo non è un’associazione ambientalista ma l’Agenzia per l’ambiente e la gestione dell’energia (Ademe), in un rapporto pubblicato nello scorso mese di dicembre”. (continua a leggere)
Troppo caldo e fiumi in secca, la Francia chiude due reattori nucleari per rischio collasso (Peppe Aquaro per Corriere della Sera): “Siccità, ondate di calore che non sembrano avere fine, e il cambiamento climatico si prende un’altra rivincita nei confronti degli approvvigionamenti energetici dell’uomo. L’ultima conseguenza dei livelli eccezionalmente bassi dei fiumi è la chiusura dei reattori nucleari”. (continua a leggere)
Francia e nucleare: una realtà del tutto peculiare (di Henri Baguenier per Treccani): “All’inizio del 2022 è chiaro, ancora una volta, che nulla è andato come previsto. Il mercato nucleare mondiale è rimasto debole, la capacità in funzione nel mondo oggi è al livello del 2000 e la quota del nucleare nella produzione mondiale di elettricità è fortemente diminuita, passando dal 17% nel 2000 al 9,8% nel 2021”. (continua a leggere)
I problemi strutturali del nucleare francese che inguaiano il mercato elettrico europeo (di Lorenzo Vallecchi per QualEnergia): “L’invasione russa dell’Ucraina e il taglio delle esportazioni di gas russo verso l’Europa stanno contribuendo a causare una crisi energetica, ma in realtà non sono forse la causa principale dei rincari che si stanno verificando nei mercati elettrici europei. Tutte le critiche che sono state sollevate, per esempio, sulla decisione della Germania di chiudere le sue centrali nucleari in una fase di minore disponibilità di gas non tengono conto del fatto che il problema principale per la generazione elettrica europea non è il calo dell’offerta di gas, bensì l’indisponibilità del nucleare francese”. (continua a leggere)
Il declino della filiera nucleare (di Andrea Barolini per Valori): “Il presente e il futuro del nucleare civile appaiono incerti. A fornire una fotografia della situazione attuale del settore è il World nuclear industry status report”. (continua a leggere)
fonti istituzionali
Forced and Planned Unavailability of Nuclear Reactors in France in 2020 (World Nuclear Industry Status Report 2021)
100% Clean Electricity by 2035 Study (NREL)
Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability (IPCC)
Pumped-hydro Energy Storage: Potential for Transformation from Single Dams (JRC — Commissione Europea)
Net-Zero Economy 2050 — Decarbonization roadmaps for Europe: focus on Italy and Spain (Ambrosetti — Enel)
Net Zero by 2050 — A Roadmap for the Global Energy Sector (IEA)